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La scienza triste e incerta della meteorologia

Franco Prodi

Tra dogmi ambientali e climatici, la sua storia in Italia è anche la storia di una epurazione culturale: quella di chi scrive

Dice Qoelet: “Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un gran male…”. Se questo è il destino di chi ha lavorato con successo, che cosa dirà chi, pur avendo lavorato con sapienza e scienza non ha avuto successo? Potrà solo raccontare la sua storia, nella speranza che serva di insegnamento a chi verrà in seguito, perché eviti gli errori evidenziati, e operi con saggezza. Questo è ciò che mi motiva nel raccontare a grandi linee le vicende della meteorologia in Italia con la cruda sincerità e il rigore di chi è stato partecipe e protagonista, anche se con l’amarezza del sempiterno perdente.

 

La storia per me ha inizio quando varco la soglia della Scuola di guerra aerea di Firenze, alla Cascine, nel settembre del 1965. Tre mesi dopo ne esco col grado di sottotenente del Genio aeronautico ruolo fisici e avendo maturato la decisione di dedicarmi per sempre alla fisica dell’atmosfera e meteorologia. Soprattutto le lezioni di meteorologia dinamica del colonnello Gazzola mi avevano aperto un mondo nuovo, quello della geofisica, con le sue limpide equazioni che spiegano i moti del fluido aria che avvolge una palla che ruota, la nostra Terra. Un altro colonnello, Ottavio Vittori, al quale fui assegnato in servizio, ha fatto il resto. Mi ha fatto innamorare delle nubi, dei loro misteri ancora nascosti, una fisica del complicato naturale, dei fenomeni complessi da spiegare con la sovrapposizione di processi fisici elementari e già noti.

 

Ma basta con le note biografiche. Solo quel tanto che serve a descrivere la meteorologia dell’Italia di allora. Una disciplina coltivata ai massimi livelli, ma fuori dall’accademia ufficiale, fuori dal sistema universitario. L’Aeronautica militare curava la formazione da sé, in piena autonomia. E io sono figlio di questa formazione. Ma il paese comincia a non pensarla più così, in quegli anni. Pensa che la disciplina, e relativa ricerca, si debbano coltivare entro il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). C’è anche una ragione ben valida: le donne non potevano entrare in Aeronautica ed erano escluse in partenza dalla formazione in meteorologia. Così gli anni Settanta vedono il progressivo passaggio della ricerca in meteorologia al Cnr. Fin qui una scelta comprensibile. Meno comprensibile è ciò che avviene alla fine di quel decennio. Cioè la decisione politica che della meteorologia al servizio del paese se ne debbano occupare le regioni, e si comincia dall’Emilia Romagna, che deve diventare la regione modello. Io partecipo da giovane ricercatore, ma già critico, a questa fase di passaggio. Le altre regioni dovranno seguire in ordine sparso. Il tutto avviene per addizione, senza eliminazione di enti. Il servizio dell’Aeronautica, lo Smam, rimane, e si aggiungono un po’ alla volta semplicemente i 19 servizi meteorologici regionali. Per quanto riguarda l’Emilia Romagna, l’obiettivo poteva anche essere valido e ambizioso: con la formazione in Fisica della prestigiosa Università di Bologna si pensava che la ricerca potesse essere messa subito in pratica come servizio avanzato per il paese. Ma non fu così: mentre si attingeva per il nuovo personale ai nostri laureati, si sottolineava l’autonomia del nuovo ente, con la rottura quasi immediata della cinghia di trasmissione ricerca-servizio.  Le altre regioni seguirono con ritardo e inefficienza, tanto che ancora oggi si vede questo vestito di Arlecchino con pezze di diversa qualità.

 

Nel frattempo sul piano nazionale si era formato il Gruppo nazionale per la fisica dell’atmosfera e dell’oceano, Gnfao, che coordinava tutta la ricerca fuori dall’Aeronautica. E’ il momento migliore per la ricerca: il Cnr svolge entrambe le funzioni che spettano all’ente, cioè di ricerca, con i suoi organi, e di coordinamento e tutela delle iniziative di ricerca esterne, osservatori, unità universitarie, industrie delle strumentazioni meteorologiche, servizi tecnici dello stato. Al suo interno ha il Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche, Gndici, che raccorda geologi e fisici nella gestione dei rischi meteorologici.

 

Ma il passaggio successivo cruciale, in senso negativo, è l’eliminazione del Gndici contestualmente alla costituzione del Dipartimento della Protezione civile. Un gruppo di ingegneri idraulici (non idrologi!) che, appoggiandosi al potere politico, frustrati dal non avere più dighe da progettare, prendono il potere accademico sui fisici dell’atmosfera e si appropriano della nascente Protezione civile per la parte di gestione del rischio meteorologico. Si acuisce così il conflitto fra competenze nazionali e regionali, manifestato fra centri funzionali (coincidenti con i servizi meteo regionali) e centri dii competenza (negli istituti di ricerca). Un conflitto che perdura anche ai giorni nostri.

 

Ricordo una mia visita, al Politecnico di Graz in Austria nei primi anni Novanta, al professor Randeu, allora coordinatore del Cerad (il Sistema radarmeteorologico che riuniva tutta l’Europa centrale). Mi chiede le ragioni del ritardo dell’Italia nel partecipare al Sistema radarmeteorologico europeo. Io rispondo con imbarazzo, sapendo che alcuni radar sono da anni nelle casse di imballaggio, non vengono montati, altri sono di proprietà delle regioni, altri di università, altri ancora di privati, ma inadeguati. Una figuraccia permanente in Europa della quale mi devo vergognare per il mio paese nelle conferenze internazionali. Peraltro venivo regolarmente escluso dalle commissioni per l’acquisto di nuovi radar meteorologici, nonostante che da giovane direttore dell’osservatorio Cnr di Verona sui temporali, avessi avuto per cinque anni in uso il prestigioso Meteor 300 della Selenia, unico radar meteorologico in Italia a quel tempo. Le pressioni politiche continuano poi con la loro dirompente efficacia con la legge Bassanini, che assegna alle regioni ciò che non dovrebbe essere mai regionalizzato. Oltre ai servizi meteorologici regionali, anche le competenze dei servizi tecnici dello stato – Idrografico della Marina, dei Lavori pubblici – passano alle regioni.  Avere dati di precipitazione diviene così un esercizio di acrobazia burocratica. La politica esercita le sue malefiche arti anche nella costituzione di Ispra, del Magistrato delle acque, delle Arpa varie. Nelle commissioni di concorso, ammesso che si facciano, si evitano i professori universitari per avere mano libera nelle assunzioni. Si arriva così ai giorni nostri con il Dipartimento della Protezione civile palesemente incapace di gestire i rischi meteorologici. Tutte le relazioni post evento, quando vengano fatte sono auto-assolutorie. Sono tutte bombe d’acqua imprevedibili, eventi estremi. Non c’è una documentazione radar-meteorologica degli eventi. Non c’è nessun centro che si occupi degli aspetti avanzati della meteorologia del futuro: il Nowcasting come sintesi di radarmeteorologia, meteorologia da satellite, radar da satellite, elaborazione di moli di dati convenzionali. Attività che non può essere adeguatamente sviluppata nei 19 servizi regionali.

 

Nel 2016 un articolo a firma di Gianantonio Stella sul Corriere della Sera dal titolo significativo, “Il professor Prodi contro il federalismo del meteo”, scatena un’autentica persecuzione contro di me che perdura tuttora: cacciata dall’Isac, l’istituto nel quale ho fondato laboratori di radarmeteorologia e fisica delle nubi, istituto che viene passato, caso inaudito, dalla fisica alla chimica, cacciato dall’area della ricerca del Cnr di Bologna che ho fondato, dal mio progetto Rivona in Puglia con due radar meteorologici avanzati. Viene chiuso il corso di laurea in Meteorologia e Ambiente da me costituto all’Università di Ferrara, unico in Italia.

 

Siamo ai giorni nostri con la costituzione di Agenzia Meteo-Italia, una tragicommedia, per statuto guidata da chi non la vuole, un comitato designato proprio da quei servizi che dovrebbero essi stessi essere aboliti. La normativa è statale, su pressione internazionale, non assegnata alle regioni. Ma lo statuto della nuova agenzia lo affida, facendosi beffe delle raccomandazioni ricevute, a un Comitato di indirizzo composto proprio dai rappresentanti regionali. Non occorrono doti profetiche particolari per predirne il fallimento sicuro, mentre si constata l’incapacità dei nominati alla direzione di dare un volto decente all’Agenzia. Si sa che l’attuale direttore non potrà essere prorogato oltre l’aprile 2026.  In sintesi si è generato un gran pasticcio che comporta costi esorbitanti e garantisce l’arretratezza della meteorologia italiana per i prossimi decenni rispetto ai servizi stranieri. Perdura l’assenza di un centro che si occupi degli aspetti avanzati della meteorologia. 

 

Nel frattempo il pubblico è praticamente tenuto all’oscuro delle enormi possibilità previsionali della rete radar nazionale per tipo e dettaglio di previsione, resa finalmente possibile dopo tanto tempo, dall’enorme drenaggio di risorse finanziarie pubbliche. Provate a digitare rainviewer oppure rete radar nazionale e scrivetemi le vostre reazioni.

 

Ho volutamente escluso da questa storia sia la bufala dei cambiamenti climatici sia della mancata allerta del contagio per aerosol nella gestione dell’epidemia Covid, che hanno comune origine nella ignoranza completa delle basi fisiche. E forniscono ulteriore benzina alle persecuzioni nei miei confronti. Ma ne ho parlato in altre occasioni.

 

Con una riforma risolutiva vera che abolisse i 19 servizi regionali trasformandoli in uffici di informazione meteorologica al servizio delle attività produttive del territorio, e così costrette a una autonomia finanziaria, non essendo più a carico del contribuente, ristabilendo un Servizio nazionale col compito della ricerca e del servizio avanzato si otterrebbe un grande risparmio e un ritorno a una effettiva efficienza.

   

   

Franco Prodi è professore ordinario di Fisica dell’atmosfera, già direttore di FISBAT CNT e ISAC CNR, membro dell’Accademia nazionale delle scienze, detta dei Quaranta 

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