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Cattivi scienziati

Difendere la scienza e la razionalità vuol dire difendere la democrazia

Enrico Bucci

Siamo cittadini di una civiltà che si regge interamente sulla scienza e sulla tecnologia, eppure ne ignoriamo i fondamenti. Ma la strada per risollevarsi esiste

Viviamo immersi in una contraddizione insanabile, quella denunciata con acuta lungimiranza da Carl Sagan: siamo cittadini di una civiltà che si regge interamente sulla scienza e sulla tecnologia, eppure ne ignoriamo i fondamenti. Dipendiamo ogni giorno da strumenti e conoscenze sofisticate, elaborate nel corso di secoli di avanzamenti scientifici, ma siamo divenuti incapaci di comprenderli e dunque di difendere il tipo di pensiero che è necessario per ottenerli e dominarli. Questo cortocircuito cognitivo sta producendo una realtà tossica e pericolosa, in cui la guerra alla razionalità è dichiarata apertamente, non più nelle periferie dell’opinione pubblica, ma al centro stesso delle istituzioni che dovrebbero proteggerla. È un conflitto che arriva da oltre oceano, ma che trova terreno fertile anche nel nostro paese, dove figure istituzionali e decisori politici giocano con l’ignoranza e ne fanno arma strategica.

L’attacco alla scienza non è casuale. È il risultato diretto e coerente di una lunga erosione della cultura del confronto razionale, incoraggiata prima con l’indifferenza, poi con la tolleranza, e infine con l’aperta legittimazione della menzogna e dell’irrazionalità. La democrazia, che si basa su quel confronto, viene svuotata di senso quando le argomentazioni sono sostituite da una cacofonia di opinioni false ma seducenti, incapaci di sostenere un minimo controllo logico o empirico. Chi urla più forte, chi promette illusioni facili, chi invoca libertà fasulle, viene elevato a campione della verità contro la comunità scientifica, dipinta come autoritaria, dogmatica e interessata. È la vecchia trappola del dubbio generico: quello che non cerca risposte, ma che solo di corrodere l’uso della ragione, lasciando spazio al vuoto caotico dove prospera ogni interesse privato.

Non possiamo arrenderci. Non possiamo accettare passivamente che l’oscurantismo contemporaneo ci porti a perdere tutto ciò che la scienza, nella sua lenta e faticosa costruzione, ha regalato all’umanità. Non si tratta solo di perdere vaccini efficaci, energia pulita, sistemi di comunicazione affidabili, medicine innovative, tecniche di coltivazione migliorate o una conoscenza affidabile del mondo. Si tratta di perdere qualcosa di molto più prezioso: la capacità di pensare chiaramente, di discutere razionalmente, di risolvere i conflitti con argomenti solidi invece che con urla, slogan e balle di ogni tipo, che si pesano solo sul numero di adesioni, invece che per la forza degli argomenti.

La strada per risollevarsi esiste. Passa innanzitutto per la riconquista della cultura scientifica e umanistica nella sua dimensione più profonda e autentica: non semplice accumulo di informazioni, ma comprensione del metodo, della logica, della bellezza della conoscenza verificabile. Passa per la scuola, oggi sempre più ridotta a un meccanismo burocratico di valutazioni formali e di didattica vuota, che deve invece tornare ad essere luogo di formazione del pensiero critico e di alfabetizzazione scientifica. Passa per l’università, che deve rivendicare con forza il suo ruolo di istituzione fondata sul dubbio epistemico e sulla costruzione razionale delle risposte, non sul consenso burocratico o sulla rincorsa al finanziamento più rapido. Passa infine per l’impegno diretto e continuo di chi la scienza la fa e la insegna: noi stessi, scienziati, divulgatori, docenti, cittadini consapevoli, che abbiamo la responsabilità di scendere dalla torre d’avorio e combattere una battaglia culturale che non è più rimandabile.

Ma perché ciò avvenga, non basta indicare soluzioni tecniche o strategie educative. Occorre un cambiamento radicale nella percezione sociale della scienza stessa. Bisogna far comprendere che difendere la razionalità non è un’opzione, ma una necessità urgente e vitale, se vogliamo preservare la libertà, l’uguaglianza e la dignità delle persone. È fondamentale recuperare il valore civile della conoscenza scientifica, intesa non come prerogativa elitaria di pochi, ma come patrimonio democratico essenziale per orientarsi in un mondo complesso. La scienza e la costruzione di conoscenza mediante la razionalità devono tornare a essere percepite per quello che sono: un metodo e un’impresa collettiva, autocorrettiva, aperta e trasparente, che accetta di correggersi proprio perché capace di mettersi continuamente alla prova.

Difendere la razionalità oggi significa soprattutto difendere la democrazia. E per farlo, è necessario che ciascuno di noi si senta personalmente investito della responsabilità di opporsi a ogni mistificazione, a ogni manipolazione interessata della verità, a ogni tentativo di avvelenare il dibattito pubblico con menzogne e semplificazioni. Significa smettere di restare spettatori increduli della deriva oscurantista che sta travolgendo le nostre istituzioni e diventare protagonisti attivi, capaci di rispondere al rumore e alla confusione con il rigore della verità e con la chiarezza della logica. Questa è la sfida che dobbiamo raccogliere, se vogliamo avere ancora un futuro in cui valga la pena vivere.

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