Eth zurigo 

Cattivi scienziati

Il futuro dell'edilizia è vivo, verde e mineralizzante

Enrico Bucci

Un materiale bioattivo a base di cianobatteri, sviluppato all’Eth di Zurigo, cattura C02 e si rinforza nel tempo grazie a processi naturali. In mostra a Venezia e Milano, promette un’edilizia vivente, sostenibile e capace di autorigenerarsi

Immaginate che il cemento nelle mura nelle vostre, o che alcuni materiali di rivestimento o persino le tegole del vostro tetto siano vivi. Immaginate pure che, attraverso la fotosintesi, catturino anidride carbonica sottraendola all’atmosfera, e che inoltre la precipitino con altri meccanismi biochimici per rinforzare la propria struttura, formando minerali come quelli che potete trovare nelle montagne calcaree, disposti in una sorta di scheletro ben formato e dalle proprietà strutturali ben definite.

Ora smettete di immaginare, perché questa idea, grazie alla collaborazione fra biologi, ingegneri dei materiali e architetti ha raggiunto la fase di prototipo: i dettagli possono leggersi su Nature Communications, ma più ancora alcune realizzazioni sono in esposizione fino a novembre nel nostro paese.

Un gruppo di ricerca dell’Eth di Zurigo ha messo infatti a punto un materiale sorprendente: un gel stampabile “vivente” in cui sono inseriti antichissimi cianobatteri, capaci non soltanto di crescere autonomamente, ma anche di sottrarre CO₂ dall’atmosfera in duplice forma. Questi microrganismi sfruttano la luce solare per produrre biomassa e, contestualmente, modificano il loro ambiente chimico esterno, favorendo la precipitazione di carbonati minerali che imprigionano ulteriori quantità di carbonio in una forma stabile. Il gel, basato su idrogel ingegnerizzati appositamente per garantire permeabilità a luce, anidride carbonica, acqua e nutrienti, offre un habitat ottimale in cui le cellule si distribuiscono uniformemente e rimangono vitali per oltre un anno, mentre i depositi minerali rinforzano progressivamente la struttura, rendendola via via più solida.

La peculiarità di questo “materiale vivo” è la sua capacità di stoccare CO₂ non solo attraverso l’accumulo di biomassa, ma soprattutto sotto forma di minerali: grazie al metabolismo dei cianobatteri, infatti, in più di 400 giorni ogni grammo di materiale è in grado di fissare circa 26 milligrammi di CO₂, una performance superiore a molte soluzioni biologiche attuali e paragonabile alla mineralizzazione chimica del calcestruzzo riciclato. Questa duplice forma di sequestro lo rende particolarmente interessante per applicazioni edilizie a basso impatto energetico, dove potrebbe fungere da rivestimento o componente strutturale capace di fissare carbonio per tutta la vita utile dell’opera.

Per ottimizzare la vitalità e l’efficienza dei microrganismi, i ricercatori hanno sfruttato tecniche di stampa 3D per dare ai manufatti geometrie studiate per massimizzare la superficie esposta alla luce e favorire la distribuzione capillare dei nutrienti. Grazie a questi accorgimenti, le strutture mantengono una stabilità metabolica prolungata e si trasformano gradualmente da gel morbido a materiale più rigido, generando un’inedita sinergia tra biologia e ingegneria dei polimeri. La ricerca, pubblicata su Nature Communications, apre quindi la strada a una nuova generazione di materiali che crescono e si autoriparano, integrando funzioni ambientali inedite.

Il potenziale di questa tecnologia ha già attirato l’interesse del mondo dell’architettura: alla Biennale di Venezia è stata presentata l’installazione Picoplanktonics nel Padiglione Canada, dove moduli simil-tronchi alti fino a tre metri, costituiti dal gel vivo, agiscono da “mattoni” in grado di catturare fino a 18 chilogrammi di CO₂ all’anno, una resa paragonabile a quella di un pino ventennale in zona temperata. Il progetto, coordinato dall’architetta e dottoranda Andrea Shin Ling, ha richiesto un complesso lavoro di scala per adattare il processo di fabbricazione dai micrometri del laboratorio alle dimensioni architettoniche, garantendo condizioni controllate di luce, umidità e temperatura e un monitoraggio quotidiano delle colonie microbiche.

Parallelamente, alla Triennale di Milano la mostra “We the Bacteria: Notes Toward Biotic Architecture” ospita Dafne’s Skin, un rivestimento interattivo progettato da Maeid Studio e dalla ricercatrice Dalia Dranseike, dove i microrganismi colonizzano le tegole lignee formando una patina verde scuro che evolve nel tempo. Questa “pelle batterica” non solo decora la superficie, ma la trasforma, trasformando un segno di degrado in un elemento estetico funzionale, capace di fissare CO₂ e di suggerire nuovi linguaggi per le facciate degli edifici. Entrambe le opere, fino a novembre rispettivamente a Venezia e a Milano, testimoniano come l’iniziativa Alive (Advanced Engineering with Living Materials) dell’Eth stia producendo i primi risultati tangibili.

Più in generale, quelle opere indicano la strada per la realizzazione di una bellissima idea: costruire con materiali vivi, lavorabili a piacere, in grado di contribuire in maniera sostanziale al contrasto del cambiamento climatico e allo stesso tempo di contribuire materiali utili all’edilizia e in altri settori, sfruttando l’intersezione fra biologia, ingegneria dei materiali e architettura.

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