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Cattivi scienziati

Le capriole logiche di Lollobrigida sulla "bioregolazione”

Enrico Bucci

Costituzione e direttive comunitarie sanciscono la tutela della biodiversità quale interesse collettivo da preservare, ma per il ministro il bioregolatore di diritto è il cacciatore armato di fucile, cartucce e voglia di uccidere

L’ineffabile ministro Lollobrigida ha recentemente dichiarato: “L’uomo si riprende il diritto di essere bioregolatore. Come ho già detto in passato, l’essere umano è l’unico essere senziente, perché è l’unico che riesce a tradurre dati scientifici in azioni concrete. Gli animali anche sono senzienti, nel senso che anche loro soffrono, ma non conosco nessun animale che sulla base di dati scientifici possa regolare l’ecosistema.” 

Evidentemente scottato dalle critiche piovutegli addosso per la sua boutade sugli animali che non sarebbero esseri senzienti, il ministro rilancia superandosi, equiparando la percezione senziente alla capacità di procedere usando la scienza: una capriola logica circense da lasciar senza fiato. Ma questo è il meno.

 

                       

             

Intanto, l’idea di un “diritto” a regolare i processi naturali non trova alcun riscontro in un sistema giuridico: non esiste norma nazionale o europea che assegni all’uomo un diritto di “bioregolazione”, mentre Costituzione e direttive comunitarie sanciscono invece la tutela della biodiversità quale interesse collettivo da preservare.

Soprattutto, la nuova perla di saggezza ministeriale traspare nel concetto sotteso: il bioregolatore di diritto è il cacciatore armato di fucile, cartucce e voglia di uccidere, l’unico in grado di “tradurre dati scientifici” sparando a mammiferi o uccelli durante le migrazioni, girando dovunque, anche in proprietà privata, o montando appostamenti in giro per il paese. Un’imbecillità mai sentita prima, figlia di un’antica arroganza umana che crede di poter governare la natura brandendo una doppietta. 

Ma poi, se l’uomo è davvero quel grande “bioregolatore” che si afferma, perché allora abbiamo sacrificato habitat, estinto intere popolazioni e travolto interi cicli naturali? Basti pensare che secondo il rapporto Ipbes del 2019 fino a un milione di specie sono minacciate di estinzione, mentre tre quarti delle terre emerse e due terzi degli oceani hanno subito trasformazioni dovute all’attività umana; il Living Planet Report 2024 denuncia una perdita media del 73 per cento delle popolazioni di vertebrati negli ultimi cinquanta anni; il modello dei “planetary boundaries” indica che sei dei nove confini critici – cambiamento climatico, integrità della biosfera, cicli biogeochimici, uso del suolo, risorse idriche e nuove sostanze – sono già stati superati; sul fronte della biomassa il bestiame rappresenta il 62 per cento di tutta la massa dei mammiferi, gli esseri umani il 34 per cento e i mammiferi selvatici appena il 4 per cento; infine, la nostra impronta ecologica supera ampiamente la capacità rigenerativa del pianeta. Questo in generale, ma, se guardiamo specificamente alla caccia, essa ha lasciato sul campo un’infinita scia di disastri ambientali suoi propri ed estinzioni

La nostra specie, anche quando non cacciava per diporto ma per sopravvivenza, ha quasi certamente contribuito in modo sostanziale all’estinzione della megafauna verificatisi a partire da 50.000 anni fa; ma è ovviamente ancor più inaccettabile pensare che la caccia moderna sia un “bioregolatore” utile. Vediamo qualche esempio di cosa abbiamo “bioregolato” con la caccia. Solo qualche esempio, perché non basterebbe un’enciclopedia a riguardo.

Nei secoli scorsi il piccione migratore americano Ectopistes migratorius, un tempo numeroso in Nord America, fu letteralmente sterminato: da enormi stormi all’estinzione a causa della caccia sportiva. L’alca impenne, incapace di volare, e la ritina di Steller, gigantesco mammifero marino scoperto nel 1741, scomparvero entrambi entro pochi decenni dall’inizio della caccia sistematica cui furono sottoposti. 

Il lupo marsupiale (tilacino), per il cui sterminio fu addirittura istituita una ricompensa per capo abbattuto, si è estinto nel 1936 in cattività, essendo stato eliminato a fucilate dalla Tasmania già molto prima; del resto anche molte popolazioni di lupo e di altri predatori sono state estinte localmente a fucilate, senza arrivare alla scomparsa della specie (per ora, ma ci sono casi in cui ci si è andati molto vicino).

Nei mari, la grande caccia alle balene e agli squali ha decimato le popolazioni di predatori apicali, alterando equilibri che mantenevano sotto controllo focolai algali e reggevano reti trofiche complesse. E vogliamo parlare del dodo, simbolo stesso delle estinzioni, cacciato fino alla scomparsa?

Guardiamo al nostro paese: In Italia la caccia moderna provoca danni ingenti e documentati su più fronti, dall’equilibrio degli ecosistemi alla sicurezza stradale, passando per la contaminazione ambientale e la perdita di biodiversità.

Sul versante della biodiversità, la pressione venatoria sottrae ogni anno milioni di uccelli allo stato selvatico: come documentato dall’Ispra, tra la stagione venatoria 2017/2018 e quella 2022/2023, in Italia sono stati abbattuti oltre 6 milioni di uccelli. Sempre secondo Ispra, per le 36 specie cacciabili i volumi di prelievo dal 2017 al 2023 superano regolarmente le soglie di equilibrio ecologico, indebolendo popolazioni già fragili

Ancora più grave è lo stato di conservazione complessivo: il 30 per cento delle circa 250 specie nidificanti in Italia versa in condizioni “cattive” e un ulteriore 33 per cento in stato “inadeguato”, con la caccia tra le principali cause di declino

A ciò si aggiunge il notorio problema dell’inquinamento da munizionamento: il piombo delle cartucce, riporta sempre Ispra, avvelena diverse specie (soprattutto al vertice della catena alimentare) e contamina suolo e acque, costituendo un rischio anche per l’uomo, perché in ambiente si raggiungono concentrazioni di piombo tali da mandare in tilt gli organismi del suolo – lombrichi, insetti e microrganismi – e da compromettere la catena alimentare fino al nostro piatto. Vi sono poi esempi concreti di come nel nostro paese i famosi interventi di gestione “bioregolatoria” attuati con le doppiette falliscano miseramente.

Nei Colli Euganei la cosiddetta “caccia selettiva” al cinghiale è diventata un rito pressoché quotidiano: da più di un decennio squadre di selecontrollori agiscono ininterrottamente sul territorio, ma il risultato è sempre lo stesso, anzi peggiore. Le ricerche hanno dimostrato che abbattere frammenti di popolazione senza alcuna strategia integrata — nessun ripristino dei predatori naturali, nessun coordinamento territoriale, nessuna misura volta a ridurre le fonti di cibo artificiali — non riduce in alcun modo il numero di cinghiali a medio termine. Studi avviati già nel 2015 hanno sottolineato come, nonostante i ripetuti piani di abbattimento e le campagne di controllo messe in campo dal Parco, la densità di Sus scrofa non abbia subito cali stabili, alimentando anzi nuove ondate di danni all’agricoltura e tensioni con i residenti

Eppure nel solo 2022 sono stati abbattuti più di 3000 capi nei Colli Euganei, con un impegno economico e logistico che ha prosciugato risorse pubbliche senza restituire alcuna riduzione significativa dell’impatto sul grano e sulle coltivazioni. Ogni volta che si vanta il successo di un’operazione, all’indomani il paradosso si ripresenta: nuovi cinghiali occupano i vuoti creati dagli abbattimenti, le loro cucciolate trovano meno competizione e crescono più numerose, costringendo agricoltori e enti locali a ricominciare da capo.

Tutto questo dimostra che la caccia umana non è mai stata una forma di bioregolazione: è sempre stata, e continua a essere, un’iperpredazione che frammenta habitat, elimina specie e indebolisce la resilienza degli ecosistemi. 

È ora di “bioregolare” certe affermazioni e certe assurdità, di cui alcuni esponenti del governo sembrano essere campioni assoluti; e se, come afferma, il ministro non conosce animali che, sulla base di dati scientifici, siano in grado di regolare l’ecosistema, noi invece, in materia di ecologia, conosciamo molte bestie che quei dati scientifici li ignorano o fingono di ignorarli pervicacemente.

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