
La pubblicità della macchina da caffè “Victoria Arduino” con l’illustrazione realizzata da Leonetto Cappiello, 1922 (Getty)
Un caffè, prego
Cosa contiene e di quali poteri è dotata la bevanda che scandisce i ritmi della nostra quotidianità. I suoi benefici spiegati dalla scienza
Capita che entrando in alcuni bar si leggano degli avvisi che ironicamente dichiarano qualcosa del tipo: “Ogni volta che un cliente chiede un caffè normale, un barista si commuove”. Il messaggio che sta dietro queste parole è facilmente intuibile, basta pensare a tutti i modi nei quali si può bere un caffè: corto, lungo, decaffeinato, corretto, macchiato freddo, macchiato caldo, al vetro, americano, d’orzo, in tazza piccola o grande; e considerando la velocità con cui solitamente ce lo vogliamo veder servire, non si può che empatizzare con la persona dietro al bancone.
Secondo l’Eurostat, nel 2023 l’Europa ha importato due milioni e 700 mila tonnellate di caffè, proveniente principalmente da Brasile, Vietnam e Uganda. I maggiori paesi europei importatori sono stati Germania e Italia, seguiti da Belgio, Spagna e Francia. All’Italia però è spettato il primato per la torrefazione dei chicchi, cioè la tostatura, che insieme a Germania, Francia, Paesi Bassi, Portogallo e Finlandia ha prodotto il 59 per cento di tutto il caffè tostato presente nell’Unione Europea.
Cos’ha, dunque, di speciale, questa bevanda per farci industriare così tanto? Come ben sappiamo, il caffè – o, per meglio dire, la caffeina – è una sostanza stimolante, che assunta in dosi moderate genera una maggiore sensazione di energia, attenzione e fiducia in sé stessi; presa in dosi eccessive, invece, queste scaturiscono in insonnia, ansia e irritabilità. Se si vuole approfondire la conoscenza di questa bevanda sarà bene partire dalla leggenda, che, come tutte le leggende, viene raccontata per tentare di comprendere e spiegare le origini di qualcosa che ci sta particolarmente a cuore.
In un articolo pubblicato sulla rivista “Trend in Plants Science” e intitolato “The story of coffee: legend and truth”, studiosi di università e centri di ricerca spagnoli e portoghesi spiegano che, ad oggi, “non conosciamo le sue origini esatte, né quando o come sia stata scoperta la consumazione del caffè”. Però, “una leggenda narra che la prima persona a scoprire gli effetti della caffeina fu Kaldi, un pastore di capre dell’Abissinia (l’attuale Etiopia)”. La scoperta sarebbe avvenuta proprio grazie alle sue capre che, dopo aver mangiato delle bacche rosse, divennero particolarmente attive, e lo fecero incuriosire. Il pastore parlò della sua scoperta a un monaco sufi della zona, il quale, assaggiando i frutti misteriosi, si sentì immediatamente rinvigorito. Una versione alternativa della leggenda racconta che il monaco, al posto di assaggiare le bacche, le gettò nel fuoco. Dalle braci però, dopo pochi minuti, si diffuse un piacevole aroma. A quel punto il monaco recuperò le bacche tostate e dopo averle macinate mise la polvere ottenuta in acqua bollente. Secondo entrambe le versioni, le bacche di caffè appena scoperte aiutarono il monaco a rimanere sveglio durante le funzioni religiose notturne, ed è per questo che il suo consumo inizialmente si diffuse all’interno dei monasteri sufi. Scopriamo poi che “i semi di caffè si propagarono lungo le rotte commerciali e di pellegrinaggio all’inizio del XV secolo, arrivando nello Yemen e poi in tutta la penisola Arabica, dove le prime piante vennero coltivate per il consumo locale. È per questo motivo che, nonostante la sua origine africana, la specie venne chiamata arabica”. Et voilà.
Per quanto riguarda l’arrivo del caffè nel nostro paese, l’International Coffee Organization (Ico) – un’organizzazione intergovernativa dedicata al caffè e istituita nel 1963 sotto l’egida delle Nazioni Unite – afferma che è stato necessario l’intervento dei veneziani. Tra questi spicca il nome di Prospero Alpino, botanico e medico (che fascino l’interdisciplinarietà rinascimentale!), autore del libro “De Plantis Aegypti”, contenente un’illustrazione della pianta del caffè. “I chicchi, caricati nel porto di Mocha, nella penisola Arabica, venivano scaricati a Venezia e inizialmente venduti nelle farmacie per scopi medicinali. Ben presto, tuttavia, i veneziani impararono a tostarne i chicchi e iniziarono a berlo sia a casa che nelle botteghe del caffè. Nel 1683 fu aperta a Venezia, sotto i portici di Piazza San Marco, la prima caffetteria del mondo occidentale. Un secolo dopo, in città ce n’erano già più di 200”. Ma per consacrare – letteralmente – la diffusione del caffè è stato necessario l’intervento di un papa, precisamente quello di papa Clemente VIII, che, dopo averlo assaggiato, decise di dare il suo assenso al consumo di quella che fino a quel momento era stata una bevanda prevalentemente musulmana.
Ma, dunque, cosa contiene il caffè? Quali sono le proprietà di questa bevanda che si fa consumare da quasi mezzo millennio? E quali i suoi effetti sulla salute?
Karen Nieber, direttrice del Dipartimento di farmacia dell’Università di Leipzig, in un articolo intitolato “The Impact of Coffee on Health”, spiega che il caffè contiene una miscela complessa di composti tra i quali, oltre alla caffeina, troviamo i polifenoli (sostanze naturali presenti anche nella frutta e nella verdura con proprietà antiossidanti), i lattoni e i diterpeni (composti con proprietà antinfiammatorie), oltre a essere ricco di vitamina b3, magnesio e potassio. La caffeina, tra l’altro, è una sostanza contenuta in oltre sessanta piante, il che fa pensare che la sua ampia diffusione abbia in natura un effetto principalmente pesticida.
A lungo si è pensato che il consumo di caffè avesse effetti tutt’altro che positivi sulla salute umana: nel 1991 l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha inserito nel gruppo 2b, cioè tra le sostanze “possibilmente cancerogene”, per poi rivedere la sua collocazione in questa categoria solo nel 2016, quando fu inserito nel gruppo 3 (in cui sono inclusi agenti chimici, fisici e biologici la cui cancerogenicità per l’essere umano non è stata ancora provata). Ad oggi, anzi, diversi studi hanno rivelato che un moderato consumo di caffè, consistente in tre o quattro tazze al giorno, può avere addirittura effetti benefici. Sorprendentemente questi effetti positivi sembrano riguardare persino il cuore. Karen Nieber cita uno studio del 2014 secondo il quale “un consumo moderato di caffè (3–5 tazzine al giorno) è associato a un rischio cardiovascolare ridotto, mentre un consumo elevato (6 tazzine al giorno) non è associato né a un aumento né a una riduzione del rischio”. Dunque, seppure non si possa dire con certezza che sia un prodigioso rimedio, pare che nemmeno il troppo stroppi – il che, considerati i timori iniziali, non è per niente male. Effetti benefici si sarebbero riscontrati anche nel diabete di tipo 2: uno studio di revisione condotto su più di un milione di partecipanti e più di 45 mila casi di persone con diabete “ha dimostrato una solida correlazione inversa tra consumo di caffè e rischio di diabete”. Infatti, “rispetto all’assenza di consumo, bere 6 tazzine di caffè al giorno è risultato associato a una riduzione del rischio di diabete del 33 per cento, con risultati coerenti sia negli uomini che nelle donne”. Incredibile. Ovviamente se le tazze di caffè vengono zuccherate l’effetto protettivo va a farsi benedire.
Anche il fegato risentirebbe positivamente dell’assunzione di caffè. Karen Nieber, infatti, cita due studi che “hanno chiaramente indicato che l’assunzione di caffè superiore a due tazze al giorno, nei pazienti con malattie epatiche preesistenti è associata […] a una riduzione della mortalità”. Però, nonostante la sua assunzione sia stata associata a una “ridotta frequenza di malattia epatica, non è chiaro se l’effetto sia dovuto alla caffeina o ad altri componenti”. Sebbene gli studi non siano ancora sufficienti per stabilire chiaramente cosa, nel caffè, abbia un effetto epatoprotettivo, sembra piuttosto chiara la presenza di una relazione inversa tra consumo di caffè e malattie epatiche. Insomma, un motivo in più per farsi una bella tazza di caffè dopo una sbronza.
Ma le conseguenze benefiche di questa bevanda non si fermano qui: gli scienziati sono piuttosto concordi nel considerare l’assunzione di caffè un fattore protettivo anche nei confronti della malattia di Parkinson. Secondo recenti studi, infatti, proprio la caffeina agirebbe come elemento difensivo rispetto alla neurodegenerazione dopaminergica (cioè del neurotrasmettitore coinvolto nei sintomi motori di questa patologia), apportando benefici tanto sul piano motorio che cognitivo.
E’ poi innegabile che bere caffè abbia anche un forte ruolo culturale, dato che ciascuno di noi può associare questa bevanda alle varie età, situazioni o specifiche esperienze vissute. Chi studia lo beve per aumentare le probabilità di superare un esame, chi lavora per allungare una pausa e la maggior parte di noi per tentare di scuotersi il sonno di dosso il mattino. La cinematografia ha poi fatto e fa la sua parte. Forse il film più iconico, nel quale il caffè entra addirittura nel titolo dell’opera, è “Coffee and Cigarettes”, del 2003, diretto da Jim Jarmush. I protagonisti (per citare i più noti: Cate Blanchett, Steve Buscemi, Bill Murray, Tom Waits, Iggy Pop ma anche Roberto Benigni) si ritrovano a chiacchierare dentro bar, bettole e hotel, sempre davanti a tazze e tazzine di caffè.
Considerato il viaggio che il caffè ha fatto in questi secoli, tanto fisico quanto ideale, nonché l’assiduità con cui lo ritroviamo nella nostra quotidianità, è innegabile che abbia popolato anche il nostro immaginario con credenze e aspettative. Ecco, dunque, che la domanda sorge spontanea: qual è la relazione tra caffè ed effetto placebo? In sostanza, cosa accade quando pensando, a torto, di bere caffè ci si aspetta un aumento della performance? In un articolo scritto da ricercatori cileni e spagnoli, intitolato “Caffeine Placebo Effect in Sport and Exercise: A Systematic Review”, già dalle prime righe è facile intuire la risposta a questa domanda: “L’aspettativa di aver assunto caffeina può ritardare l’affaticamento muscolare, anche senza una reale presenza di caffeina, sottolineando l’influenza delle aspettative psicologiche sulla prestazione fisica”. In particolare, “l’influenza degli effetti placebo e nocebo sulla prestazione sportiva” è stata riscontrata “nel calcio, nei maratoneti, nel ciclismo, nel nuoto veloce e nel salto verticale”. Inoltre, secondo alcuni studi presi in esame in questo lavoro, la credenza di aver assunto caffeina si è dimostrata efficace anche nel ridurre la sensazione di dolore a seguito dell’esercizio, e ha permesso di sostenere uno sforzo più a lungo. Un altro risultato dell’effetto placebo è stato un aumento del focus attentivo, che ha permesso “di distogliere l’attenzione dal dolore e dallo sforzo percepito, migliorando così le prestazioni in termini di potenza, lattato nel sangue, ossigeno e frequenza cardiaca”. E’ stato registrato, infine, anche un aumento della motivazione, tanto da rendere possibile “un maggior numero di ripetizioni negli esercizi di resistenza rispetto a coloro che credevano di aver assunto un placebo”. Risultati più che sufficienti per decidere di bere una bella tazza di caffè prima di andare in palestra. Il fatto che il placebo di una sostanza dia effetti simili a quelli prodotti dalla sostanza stessa, non significa che le conseguenze sul corpo della sostanza reale siano fittizie o immaginarie. Così come non lo sono, del resto, quelle prodotte dalla sostanza placebo. Le aspettative, infatti, sono un potente meccanismo in grado di influire sulle risposte psico fisiologiche dell’organismo, e dato che quelle riguardanti gli effetti del caffè sono piuttosto conosciute e diffuse, è comprensibile che agiscano anche a seguito dell’assunzione di caffè placebo.
Che dire, visto che, se non se ne beve troppo, gli effetti del caffè paiono tutt’altro che detestabili, non rimane che andare a ordinarne uno. Come più lo si preferisce, si intende.