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Cattivi scienziati
Le parole della pseudoscienza
La diffusione delle credenze antiscientifiche nasce anche dallo slittamento semantico tra linguaggio comune e tecnico, che rende ingannevole l’uso di termini scientifici. Riconoscere questo meccanismo è essenziale per smascherare illusioni di rigore prive di fondamento
Una delle radici più profonde della diffusione delle pseudoscienze non sta soltanto nell'ignoranza dei concetti scientifici, ma in un fenomeno più sottile e pervasivo: lo slittamento semantico che accompagna il linguaggio scientifico. Quando la scienza si sviluppa, per necessità culturali e comunicative, ricolonizza parole preesistenti, ridefinendole in modo rigoroso, tecnico, spesso lontanissimo dal loro significato originario. Questo processo, inevitabile e funzionale all'avanzamento del sapere, lascia tuttavia aperta una frattura: il senso comune continua a conservare il vecchio significato delle parole, mentre il linguaggio scientifico ne costruisce uno nuovo, più preciso ma meno intuitivo. Finché questa frattura rimane inosservata, diventa un varco attraverso cui possono insinuarsi narrazioni ingannevoli, che si travestono da scienza mantenendo, in realtà, il linguaggio e le logiche del pensiero pre-scientifico.
La pseudoscienza, infatti, non inventa quasi mai parole nuove. Al contrario, si appropria delle parole già esistenti, ignorando — o fingendo di ignorare — il mutamento di significato che la scienza ha imposto loro, e riattivando i vecchi sensi intuitivi per costruire discorsi che suonano familiari e convincenti, ma che sono privi di ogni rigore concettuale. È un'operazione tanto efficace quanto invisibile: si parla con parole scientifiche, ma si pensa con categorie pre-scientifiche. Proprio per questo smascherare questo meccanismo richiede non solo conoscenza dei concetti, ma anche consapevolezza profonda del linguaggio. Un esempio particolarmente illuminante di questo processo è offerto dal termine "potenza". Nel linguaggio comune, "potenza" richiama immediatamente l'idea di una forza intensa, di un effetto travolgente, di qualcosa che imprime un'azione potente e visibile. Si parla della potenza di un veleno, della potenza di un discorso, della potenza di una tempesta: il termine evoca l'efficacia drammatica di un'azione o di un fenomeno.
Nel linguaggio scientifico, invece, "potenza" subisce un radicale cambiamento di significato. In fisica, essa è definita come la quantità di energia trasferita o trasformata per unità di tempo, una grandezza precisa, misurabile, completamente spogliata di ogni connotazione emotiva. Non si misura più l'intensità percepita di un effetto, ma una quantità fisica ben definita, espressa in watt. E quando si passa alla farmacologia o alla tossicologia, il termine corretto non è più "potenza", ma efficacia: si valuta la capacità di una sostanza di produrre un effetto specifico, secondo parametri sperimentali e quantitativi. "Potenza", nel senso comune, e "efficacia", nel senso scientifico, appartengono così a due universi concettuali distinti, che solo il linguaggio superficiale può far apparire contigui.
La pseudoscienza omeopatica, tuttavia, sfrutta con grande abilità proprio questa ambiguità latente. Introducendo il concetto di "potentizzazione", ripesca il significato storico e intuitivo di "potenza" e lo riutilizza senza alcuna aderenza ai concetti scientifici moderni. Attraverso un processo di diluizioni successive e scuotimenti, l'omeopatia afferma di aumentare la "potenza" del rimedio, suggerendo così, agli occhi di chi mantiene il senso comune del termine, che il rimedio diventi più forte, più efficace, più capace di agire, proprio mentre, dal punto di vista chimico, la sostanza attiva scompare quasi del tutto. L'effetto percettivo è assicurato perché si appoggia su un significato antico e radicato, ignorando il fatto che nella scienza moderna la potenza fisica non ha nulla a che vedere con l'efficacia di una sostanza farmacologica, né tantomeno con l'azione di un preparato che ha perso ogni traccia materiale del principio attivo.
Questo meccanismo non si limita all'esempio dell'omeopatia. Ovunque si osservi il linguaggio delle pseudoscienze si ritrova lo stesso schema: parole scientifiche che vengono riempite di significati pre-scientifici, attraverso l'ignoranza o la cancellazione dello slittamento semantico operato dalla scienza. "Energia" torna a significare vitalità indistinta anziché grandezza fisica misurabile; "campo" si trasforma in metafora di aure mistiche anziché funzione matematica; "quantico" diventa sinonimo di misterioso anziché indicare le proprietà discrete di sistemi microscopici. Non si tratta di un aspetto secondario della pseudoscienza, quanto piuttosto della sua essenza: il riutilizzo di termini contigui a quelli scientifici e mimetici di quelli, ma con significati erronei, è infatti una delle principali caratteristiche identificabili nel discorso pseudoscientifico vero e proprio, che lo distingue da altre forme di irrazionalismo. Il vero problema, allora, non è solo la falsità delle singole affermazioni pseudoscientifiche, ma il modo in cui esse riescono a costruire un'intera architettura di senso apparente, sfruttando la frattura semantica tra la lingua comune e il linguaggio scientifico. Non basta accumulare dati per contrastare questa deriva: è necessario intervenire molto più a monte, sul terreno stesso del linguaggio.
La consapevolezza del linguaggio diventa così la prima difesa contro la frode e l'inganno pseudoscientifico. Non basta sapere che l'omeopatia non funziona, o che l'energia vibrazionale non esiste nei termini in cui viene proposta: bisogna riconoscere che le stesse parole utilizzate per costruire queste narrazioni si basano su significati antichi, riattivati senza dichiararlo, presentati come se appartenessero ancora al discorso scientifico contemporaneo. Chi impara a vedere questo slittamento diventa immune non solo alla singola frode, ma alla logica stessa che permette alla pseudoscienza di sembrare plausibile. Diventa capace di smascherare l'inganno nel momento stesso in cui si manifesta, riconoscendo la distanza che separa il linguaggio tecnico, costruito con fatica per afferrare la realtà, e il linguaggio manipolato, che cerca solo di evocare emozioni e confermare credenze pregresse.
In definitiva, la lotta contro la pseudoscienza è prima di tutto una lotta per il senso corretto delle parole. Non si tratta di una questione formale o pedante: è una questione di verità e di libertà. Solo chi sa riconoscere la storia, la precisione e il rigore dei concetti scientifici, solo chi sa vedere il cammino che porta da una parola comune a un'idea rigorosa, può davvero essere libero dall'inganno. Ed è proprio questa vigilanza linguistica, silenziosa ma essenziale, che costruisce il terreno più solido su cui può camminare una cultura della conoscenza autentica.

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