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Cattivi scienziati

Dopo la carne coltivata, l'Europa apre alle tecniche genomiche per la modifica del Dna delle piante

Enrico Bucci

Con le regolamentazioni per le nuove tecnologie sui vegetali si potranno fare passi avanti nella ricerca e nello sviluppo di prodotti alimentari alternativi. Greenpeace esprime preoccupazioni, per i sostenitori è un tassello della soluzione alle sfide climatiche

Forse, e dico forse, anche in Italia, fra qualche tempo, sarà possibile consumare prodotti agricoli ottenuti modificando su misura il Dna di piante coltivate, invece che ricavati da mutanti figli di un bombardamento radioattivo che produceva danni a caso sul genoma dei loro progenitori (è il caso delle varietà di frumento maggiormente coltivate in Italia, il Creso e quelle da essa ottenute) oppure dalle manipolazioni genetiche di aziende estere (come l’amatissimo pomodoro IGP di Pachino e le varietà correlate, le cui qualità sono dovute al cambiamento di due geni operato da un’azienda genetica israeliana negli anni ’80).

Nonostante, infatti, la forsennata opposizione dei soliti noti, come Greenpeace, e anche grazie alla lettera firmata da 37 premi Nobel e da oltre 1500 scienziati e ricercatori di tutta Europa, fra cui anche il sottoscritto, un importante passo avanti verso il via libera alla modifica del genoma delle piante coltivate mediante le cosiddette “NGT” (nuove tecniche di genomica) è stato compiuto ieri. Infatti, il comitato per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento Europeo ha adottato la sua posizione sulla proposta della Commissione sulle nuove tecniche genomiche (NGT), con 47 voti favorevoli, 31 contrari e 4 astensioni. In breve, ecco quanto è stato deliberato in sede al comitato.

Innanzitutto, sono state istituite due categorie diverse di prodotto: i cosiddetti NGT1, ovvero prodotti delle nuove tecniche genomiche che saranno considerati equivalenti alle varietà tradizionali, e gli NGT2, che invece dovranno seguire la regolamentazione già in vigore per le piante OGM.

Per quel che riguarda gli NGT1, dovranno essere stabiliti i criteri, in termini di estensione e numero delle modifiche genomiche introdotte, per cui un prodotto possa rientrare in quella categoria, ampliando di fatto la precedente, molto più restrittiva proposta di limitare la categoria NGT1 a piante con un massimo di 20 basi di DNA modificato. Inoltre, per le piante NGT1 i semi ottenuti dovranno essere opportunamente etichettati, ma i prodotti, al contrario, non avranno nessun obbligo (proprio in forza della rilevata equivalenza con le colture tradizionali).

Per quel che riguarda le NGT2, si applicherà come detto lo standard attualmente vigente per gli OGM, incluso l’obbligo dell’etichettatura per i prodotti lavorati, ma si provvederà ad accelerare la valutazione di sicurezza prima dell’autorizzazione in commercio, “tenendo conto del loro potenziale per contribuire a un sistema agroalimentare più sostenibile” – e se le parole hanno un peso, anche questo è un cambiamento notevole verso standard basati sulle evidenze, e non sulle paure. Nessun seme NGT potrà inoltre essere brevettato; questo dovrebbe mantenere i prezzi più bassi ed evitare la dipendenza da singoli produttori, paventata da molti oppositori alle biotecnologie vegetali. Infine, come è da attendersi, non sarà ammesso nessun NGT in regime biologico.

Naturalmente, fra gli oppositori di questa nuova visione dell’Unione Europea, che finalmente sembra allontanarsi dall’oscurantismo degli ultimi 30 anni, uno dei più vocali è GreenPeace. L’attivista Eva Corral ha infatti commentato che “decenni di progressi compiuti nell’UE sui diritti degli agricoltori e sulla protezione della salute delle persone e dell’ambiente non dovrebbero essere vanificati nell’interesse dei profitti dell’industria biotecnologica”.

Questione di punti di vista: per taluni, le regole che hanno tenuto sin qui indietro l’Europa, e più di tutte quelle che hanno incatenato l’Italia ai prodotti di biotecnologie obsolete e ben più imprecise – come il grano che mangiamo o il Pachino di cui siamo fieri – sono state un progresso. Altri, che hanno avuto 20 anni fa i loro alberi di varietà sperimentali di olivo, ciliegio e kiwi distrutti dalle ruspe di uno stato oscurantista, così che oggi da avanguardia nella ricerca di varietà utili a tutti siamo diventati il fanalino di coda, ritengono che abbiamo invece pagato lo scotto di chi ha soffiato alimentando paure inventate e rischi di gran lunga inflazionati, magari per poi vendere a prezzi maggiorati prodotti dipinti come “antichi”, “naturali”, “tradizionali” e importare il resto quando i primi non bastano.

La protezione della salute e dell’ambiente, specie in tempi di cambiamento climatico, si fa con la ricerca scientifica, non con le favole su un passato inventato; e può darsi che questo, finalmente, cominci anche a baluginare nella testa dei parlamentari che siedono nelle istituzioni europee.

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