Drew Angerer / Getty Images

Cattivi scienziati

Gli articoli scientifici non sono il posto giusto per il “politicamente corretto”

Enrico Bucci

La rivista Nature, in un editoriale in cui si parla di cromosoma Y e cancro, aggiunge una spiegazione su cosa si intende per “uomini”. La battaglia per i diritti è sacrosanta, ma la lingua va adattata al contesto in cui viene usata

Stavo leggendo un editoriale molto interessante, che introduce due articoli pubblicati su Nature, i quali puntano in un ruolo preciso del cromosoma Y nel rendere gli uomini più suscettibili a conseguenze più gravi per alcuni tipi di tumore, quando mi sono imbattuto nel testo che segue: “Questo articolo usa ‘uomini’ per descrivere le persone con un cromosoma Y, pur riconoscendo che non tutte le persone che si identificano come uomini hanno un cromosoma Y, e non tutte le persone che hanno un cromosoma Y si identificano come uomini.” Questa evidentissima intrusione del “politicamente corretto” in un testo prettamente scientifico ha prodotto l’immediato effetto di distogliere la mia attenzione dal problema che stavo ponderando, per un’inusuale e fastidiosa sensazione di intrusione ideologica in una discussione scientifica, cui è seguita una breve riflessione, che vorrei qui condividere con i lettori.

 

Una premessa è importante: l’accademia e la comunità scientifica sono sede di una diffusa abitudine alla discriminazione, con conseguenze negative evidentissime in termini di opportunità e trattamento innanzitutto per le donne (dove “innanzitutto” è riferito al loro semplice peso numerico), e via via a scalare per altre categorie, o per meglio dire per qualunque categoria che si allontani dal modello di scienziato occidentale, maschio, eterosessuale, bibliometricamente produttivo e parte di un ben identificabile circuito globale che fa capo ad alcune istituzioni di prestigio. Le ragioni e i meccanismi alla base di questo stato di cose sono complesse e spesso intrecciate fra loro, per cui non me la sento di trattarne qui, necessitando di una sede assai più ampia; per giunta, le variegate “soluzioni” proposte per mitigare il problema mi sembrano alquanto sterili in termini di risultati e spesso ideologiche, invece che pragmatiche e basate sulle prove.

 

Ho fatto questa permessa, per non essere accusato io stesso di condividere o di non vedere la terribile disuguaglianza su cui si fonda il potere accademico e scientifico; eppure, incontrando per la prima volta una frase come quella citata nell’editoriale di Nature, non posso fare a meno di esprimere il mio disappunto per quella che mi pare una perversione linguistica e concettuale, che pare avere l’unico scopo di lavare le coscienze, invece di cambiare le cose. Possibile che proprio in un testo in cui si parla di associazione fra certi rischi di cancro e il cromosoma Y, bisogna specificare cosa si intende per uomini, quando è chiaro, dal contesto, che ci si sta riferendo ai portatori di un certo cromosoma sessuale? Possibile che bisogna quindi indicare che con “uomini” ci si sta riferendo al sesso, e non al genere (cioè al sesso con cui ci si identifica), perfino nel momento in cui stiamo guardando e discutendo esattamente della determinante genetica del sesso? E da adesso in poi che cosa vogliamo fare: usare la perifrasi “portatori di cromosoma Y”, invece che “maschi” o “uomini”, perfino in testi dove è ovvio a cosa ci si riferisce con questi ultimi termini?

 

Certo, la scelta linguistica è sempre possibile. Ma la lingua, come sanno bene coloro che eccellono nel suo uso, va adattata al contesto in cui viene usata; e allo stesso modo in cui è corretto evidenziare che il genere con cui ci si identifica può essere diverso da quello solitamente legato al sesso biologico in una discussione dedicata a questo argomento, appare francamente fastidiosamente ridondante ricordare la cosa in un contesto in cui si discute d’altro, proprio come sarebbe fastidioso in un convegno dedicato al tema ricordare di continuo che il sesso è determinato geneticamente. Est modus in rebus: per evitare esiti ridicoli ed effetti controproducenti nel condurre la sacrosanta battaglia volta a livellare le iniquità legate alle identificazioni di gruppi difformi dallo standard assunto, è ora di smetterla di ricorrere a inutili perifrasi, nella paura che termini sin qui innocui siano diventati pericolosi strumenti di oppressione culturale. L’accademia e la comunità scientifiche vanno riformate, anche piuttosto radicalmente; ma cominciamo a parlare di equità nel trattamento economico, di barriere professionali e della diffusione del sessismo in certi ambienti, invece di specificare cosa intendiamo con “uomini” in un articolo in cui si parla di cromosoma Y e cancro.

Di più su questi argomenti: