Foto di Keith Brofsky, via Getty 

Cattivi scienziati

Nel caos delle pseudoscienze la democrazia muore. Un caso

Enrico Bucci

La cancellazione di un evento sull'omeopatia che si sarebbe dovuto tenere nel dipartimento di Farmacia dell'Università di Catania ha creato dubbi e timori sulla democraticità della scienza. Ecco perché è una decisione di cui non aver paura

Il 15 Marzo, come avevo segnalato su questa pagina, avrebbe dovuto tenersi presso il dipartimento di farmacia dell’Università di Catania, con introduzione del suo direttore, una giornata dedicata agli studenti dal titolo “la realtà dell’omeopatia”.

L’evento è stato cancellato, a quanto pare per intervento diretto del rettore, il prof. Francesco Priolo: grazie a un fisico, abbiamo ottenuto una dimostrazione di serietà da parte dell’accademia catanese, che ha mantenuto alla porta di una istituzione dedicata alle scienze del farmaco la più classica teoria pseudoscientifica in materia.

Naturalmente, come prevedibile, insieme ai tanti che hanno tirato un sospiro di sollievo, vi sono alcuni che hanno espresso dubbi di varia specie. Non mi riferisco qui ai sostenitori dell’omeopatia, ai cospirazionisti o ad altre specie di creduloni assortiti, che si sono infuriati per la mancanza di credito concessa a una delle loro bubbole preferite; sto parlando invece di persone che esprimono un dubbio più generale, un dubbio che ritorna ogni qualvolta si pongono dei limiti alla libera espressione di opinione in una sede istituzionale.

Costoro, per riassumerla con le parole di un mio cortese lettore, affermano quanto segue: “l'omeopatia è acqua e zucchero. Poco più. Ma a me non spaventa questo, fa più paura il rischio che per fare capire alle persone sia sbagliato e rischioso curarsi con acqua e poco più, si debba quasi arrivare a imporsi e imporre il metodo scientifico come fosse una religione. Perdendo la scienza, di fatto, la sua umile funzione di strumento di conoscenza.”

Ora, non è possibile rispondere a questa obiezione con slogan quali “la scienza non è democratica”. Non è possibile infatti giudicare della democraticità della scienza, così come non è possibile parlare della triangolarità di un piccione: sono concetti fra loro incommensurabili, perché, come mi è già capitato di scrivere, si applicano a domini affatto diversi; al più, possiamo riscontrare certe caratteristiche comuni di uguaglianza e democraticità fra il dibattito scientifico e quello parlamentare, nel senso che in entrambi i casi, stabilite delle regole che riguardano anche chi e come può esprimersi, non vi sono limiti che di principio escludano una persona dal parteciparvi, e l’opinione maggioritaria è quella che conta per stabilire quale sia il consenso.

In realtà, il punto è molto diverso: impedire che in una istituzione destinata allo studio scientifico della farmacologia si propongano agli studenti teorie pseudoscientifiche del farmaco, formulandole come “realtà” al pari delle altre, ha la precipua funzione di proteggere esattamente una delle basi più importanti su cui si fonda la democrazia, ovvero la corretta informazione. Senza di questa, come ben sanno i giuristi, ogni democrazia è svuotata della sua funzione principale, cioè della possibilità di poter garantire il massimo possibile di equità e libertà, per il semplice motivo che in assenza di informazione corretta, e anzi avvelenando quel poco che di corretto sappiamo sul mondo, è possibile orientare la macchina democratica a prendere decisioni le più sbagliate e più lontane dal benessere collettivo, come ben sanno coloro che usano la disinformazione proprio per minare le istituzioni democratiche.

La difesa della funzione di un dipartimento di farmacia, che consiste nell’indicare con chiarezza quali siano le migliori teorie di cui disponiamo circa il funzionamento dei farmaci all’interno della visione scientifica moderna, è dunque esercitabile solo se, all’interno di quella istituzione, si eviti con fermezza ogni confusione tra teorie del simile, costituzioni fosforiche e carboniche, potentizzazioni e altre sciocchezze che inesauribilmente sgorgano dagli omeopati, da un lato, e le migliori approssimazioni della realtà molecolare del funzionamento dei farmaci che abbiamo oggi, dall’altro.

Quella confusione giova solo a chi intende venire incontro al diffuso bisogno di sfruttare le insufficienze del sistema sanitario (non della medicina in sé), facendone occasione di guadagno mediante la vendita di acqua e zucchero; ed è un passaggio importantissimo e molto ambito dai venditori quello di veder bollinata da un’università qualunque tipo di pseudoconoscenza e di veder allargata la base dei propri sodali, formando alle meraviglie della “diatesi omeopatica” futuri venditori e sostenitori del prodotto.

Rimanendo all’ambito universitario, diverso sarebbe se l’omeopatia fosse insegnata in un dipartimento dedicato allo studio delle tradizioni culturali e della storia della scienza, oppure se venisse presentata come utile strumento per sfruttare l’effetto placebo, o ancora se, assieme alle più curiose tradizioni etnografiche in tema di medicina, fosse posta nel suo contesto, che in tutti i casi non è quello delle scienze, ma quello dei tanti filoni di pseudosconoscenza fioriti nei millenni.

Né si può pretendere che il dibattito che ha dimostrato fin dalla sua ideazione la fallacia dell’omeopatia e la mancanza di basi scientifiche della sua teoria, possa essere reiterato all’infinito, come se non fosse mai stato concluso che il principio di diluizione oltre la soglia di Avogadro oppure la “materia medica” dell’omeopatia sono incompatibili, non complementari, con la chimica, la fisica e dunque l’intero edificio della conoscenza scientifica moderna. Il dibattito sulla possibilità di conciliare omeopatia e scienza, in assenza di fatti nuovi oltre l’effetto placebo, è finito da un pezzo; è invece dimostrato che il veleno cognitivo introdotto convincendo le persone della realtà di certe teorie contrapposte alla conoscenza scientifica, ne mina la loro capacità di giudizio, portandole a scelte sbagliate per la salute propria e degli altri.

Dunque chi ha a cuore la democrazia dovrebbe avere il timore opposto a quello riassunto in apertura di questa breve nota: dovrebbe temere la diluizione e la confusione delle discipline universitarie fondate su metodi di analisi rigorosi e ancorate alla scienza, con ogni sorta di credenza che di scientifico non ha nulla, al solo scopo di promuoverne il mercato e allargarne la condivisione; dovrebbe quindi temere non che la scienza si faccia religione, ma, al contrario, che credenze simili a quelle religiose siano passate per scienza, profittando di un’impropria sede e di un’impropria presentazione presso coloro che, in futuro, potrebbero essere proprio tra i primi venditori di tali sciocchezze nelle farmacie.

La democrazia è indispensabile alla scienza, ma la democrazia muore nel caos disinformativo, promosso per i più vari motivi.

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