Foto di National Cancer Institute, via Unsplash 

Cattivi Scienziati

In difesa del riduzionismo scientifico e delle definizioni che spiegano la natura

Enrico Bucci

Contro gli enunciati che cristallizzano la realtà ci sono omeopati, osteopati, e tutte le pseudoscienze. Dicono che la scienza operi divisioni tra cose interconnesse, ma in realtà sono loro a generalizzare

Una delle accuse più soventemente rivolta alla scienza e ai ricercatori da parte di chi vorrebbe sminuirne importanza, significato e soprattutto bellezza, è quella che viene sintetizzata in una sola parola: riduzionismo.
I seguaci della biodinamica, per esempio, sostengono che “il riduzionismo scientifico ha concentrato la visione dell'agricoltura a fatto di laboratorio dove le variabili devono venire ridotte al massimo”.

 

Gli omeopati scrivono che “Notevole contributo in tale direzione viene dalla lenta diffusione di una visione antropologica che, superando le limitate e limitanti prospettive di un riduzionismo a base positivista, apre agli spazi sconfinati e imprevedibili della pluridimensionalità additando possibilità straordinarie di indagine, di sperimentazione e di verifica che siano più rispettose dei veri processi di crescita e di maturazione della persona”.

 

Gli osteopati ci comunicano che “A differenza della medicina convenzionale allopatica occidentale, analitica e riduzionista, centrata sul sintomo, la malattia, l’uso di prodotti farmaceutici atti a “silenziare” il fastidio e non privi di effetti secondari o avversi, l’osteopatia cerca di comprendere la ragione di quanto sta succedendo nella sua globalità”.

 

Persino Il Manifesto ci informa che “Questa ideologia tecnocratica, sempre accompagnata da un riduzionismo scientifico e culturale, è quanto mai inutile per comprendere la crisi ambientale che ci sta portando sull’orlo del baratro. Recidere le connessioni sembra l’imperativo dominante, là dove il mondo nel quale viviamo brulica di complessità perché ogni cosa è connessa a ogni altra come avviene in qualsiasi organismo vivente”.

 

In presenza di questi e di altri innumerevoli attacchi alla scienza in quanto riduzionista, io credo che sia bene sciogliere un equivoco fondamentale, un equivoco che accomuna tutti color che usano il termine “riduzionismo” in senso diminutivo, come se implicitamente cioè riducesse indebitamente l’importanza, la complessità e la bellezza di qualcosa.
Il riduzionismo scientifico, infatti, non implica affatto né una diminuzione, né tanto meno la dissezione di un fenomeno in particolari sempre meno significanti. 

 

È invece in realtà il processo opposto: è il ricondurre a pochi, cristallini enunciati il caleidoscopico mondo delle nostre osservazioni, riunendo in un solo quadro semplice e amplissimo il massimo numero di fatti che sia possibile. Nella scienza, cioè, si recupera il senso etimologico del verbo ridurre, che è equivalente al latino reducere, ricondurre, non al dividere in parti o al diminuire.

 

Grazie a questa operazione, peraltro tipica non solo della scienza, ma del pensiero filosofico in sé, ciò che si fa è il riconoscere la fondamentale unitarietà della natura, ovvero il manifestarsi in innumerevoli forme e processi di poche, pochissime leggi e costanti fondamentali universali, ovvero si riconosce il fatto che pochi numeri universali, i quali descrivono le proprietà di particolari oggetti fisici, oppure le classi dei fenomeni osservabili o anche fatti del tutto generali, applicabili teoricamente a qualsiasi oggetto, posti in relazione con i fatti osservati attraverso l’uso di proposizioni logico-matematiche, sono in grado di descrivere compiutamente la realtà.

 

Al contrario, le pseudoscienze e il pensiero magico utilizzano frammentarie spiegazioni ad-hoc per giustificare l’enorme varietà del reale, ed è anche per questo che sono fallaci: ogni volta che incontrano un fenomeno nuovo, sono costrette o a rinunciare a una descrizione/spiegazione rigorosa, perdendo così di capacità esplicativa, o ad ampliare il proprio armamentario descrittivo frammentando la propria unitarietà. Così, l’antroposofia su cui si fonda la biodinamica non può nemmeno discutere del funzionamento del sole o del colore dell’ala di una farfalla senza ricorrere a principi speciali oppure troppo vaghi, mentre la stessa chimica che sorregge l’impiego di farmaci in medicina può allo stesso modo aiutarci a comprendere la fonte del colore di un fiore o il funzionamento delle tempeste nell’atmosfera di Giove.

 

Le farraginose alternative alla visione scientifica del mondo, come per esempio il vitalismo di biodinamica, omeopatia, agopuntura cinese e di altre pseudoscienze, non sono semplicemente peggior nel funzionamento: sono anche irrimediabilmente meno soddisfacenti da un punto di vista estetico, rispetto a un modello quantitativo della realtà che è sì incompleto e certamente erroneo in alcune sue parti, ma è universale e capace di rigenerarsi utilizzando come trampolino proprio la scoperta dei suoi errori, per restituire architetture sempre più ampie, fulgide e comprensibili di quanto ci circonda, proprio riducendo, ovvero riconducendo, la sterminata bellezza del mondo a una sola, grande e unitaria rappresentazione del tessuto del reale.

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