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cattivi scienziati

Perché non è vero che scienza e democrazia sono in contrasto

Enrico Bucci

Per inserirsi nel dibattito scientifico c'è bisogno di pesare e valutare le tesi con il metodo scientifico. Così come durante le elezioni si accetta di presentarsi ai seggi per pesare il consenso di una certa tesi politica

Ci sono spesso voci che accusano gli scienziati di mancanza di democrazia, ma il dibattito scientifico non è necessariamente in contrasto con il dibattito democratico. Dato che ho già scritto più volte su questo argomento, vorrei ancora una volta cercare di chiarire alcuni concetti fondamentali che possono sfuggire a chi non è esperto in materia scientifica, anche se ha maggiori conoscenze in altri campi come arte, letteratura, filosofia o diritto. In democrazia, è indiscutibile che il diritto di espressione sia fondamentale. Tuttavia, questo non implica che tutte le opinioni abbiano lo stesso valore. In ultima analisi, è proprio compito delle istituzioni democratiche stabilire quali opinioni debbano avere influenza in relazione a una determinata questione.

 

Vi sono perfino opinioni non lecite: se io pretendessi di difendere la posizione che sia giusto discriminare gli ebrei e mandarli nei forni crematori o di crocifiggere i cristiani come al tempo di Nerone, starei commettendo probabilmente un reato, perché questo tipo di opinioni viene riconosciuto come talmente pericoloso, da meritare censura e punizione. A parte questi pochi casi estremi, in democrazia si ricorre, sostanzialmente, alla conta delle teste che condividono una certa tesi, attraverso l’espressione di un voto, sia universale che delegato. Ciò, tuttavia, non avviene per ogni questione sollevata, anche quando una certa opinione non sia palesemente illegittima; gli atti parlamentari sono pieni dell’espressione di opinione di singoli individui, che non è sfociata in voti o altri processi decisionali. 

Esiste cioè una serie di regole per valutare anche ciò di cui vale la pena discutere e su cui bisogna decidere, prima ancora di entrare nel merito, ed esistono opinioni giudicate non meritevoli di discussione. L’insieme delle regole per decidere quali siano opinioni illecite, quali siano irrilevanti e quali meritevoli di discussione, ed infine quali siano quelle che reputiamo giuste e che possono formare la base di una decisione, è appunto l’essenza stessa del nostro dibattito democratico.

Se fosse davvero necessario discutere di ogni opinione per vivere in democrazia, la democrazia non potrebbe essere altro che una chimera. Stabiliti questi pochi elementi, proviamo ad esaminare la discussione di opinioni di natura scientifica, fatta dagli scienziati. Innanzitutto, in una discussione scientifica si può discutere solo di un certo tipo di opinioni, o tesi: quelle che siano sottoponibili a indagine attraverso la raccolta e l’analisi di fatti sperimentali (fatto salvo il caso in cui possano essere derivate attraverso una procedura logico-matematica da assunti ben stabiliti). Perché? Per la semplice ragione che le opinioni scientifiche si pesano non sulla base delle teste, ma sulla base dei fatti che le sostengono. Non si interrogano le persone, ma il mondo fisico; e la procedura, che in democrazia è quella stabilita dalle norme elettorali e del voto parlamentare, in scienza è quella stabilita dai metodi sperimentali e statistici cui si deve sottostare perché i “fatti” possano essere pesati, così come le regole elettorali servono a pesare i voti. 

 

Questo vincolo porta a scartare dalla discussione moltissime delle idee di improvvisati interlocutori scientifici, che credono sia sufficiente enunciare qualcosa per aver diritto al dibattito, i quali poi nella frustrazione di non ricevere risposta accusano gli scienziati di “chiusura mentale”. Come non si esprime il voto a casaccio durante un’elezione – non si scrive per esempio sui muri, ma si procede attraverso una cabina elettorale ed una certificazione, in modo da pesare il consenso per una data tesi politica – così avviene che, in scienza, formulare un’opinione richiede di farlo in un modo che essa possa essere pesata e valutata con il metodo scientifico.
Inoltre, i fatti di cui discutere non possono provenire da letture o esperienze a casaccio, magari da Google, ma solo dall’applicazione di un metodo per la loro raccolta e di un’analisi statistica per la determinazione della loro forza, proprio come per decidere quale opinione prevale in Parlamento non si procede a sentimento, ma sulla base dei regolamenti e metodi predeterminati.

Tutto ciò che è al di sotto di questo standard minimo, ma viene sbandierato per esempio in forza dell’opinione di qualche personaggio illustre – anche un premio Nobel - che riteniamo essere degno di fiducia, non può essere accettato né discusso, per la semplice ragione che non conta chi dica qualcosa. Nemmeno al bar, figuriamoci nelle istituzioni democratiche o scientifiche, ascoltiamo qualcuno solo per il nome che porta; non è questione di mancanza di democrazia, ma semplicemente di irrilevanza del principio di autorità.

 

Quando, formulata correttamente un’opinione scientifica e portati i dati a suo supporto, la discussione scientifica può cominciare, è necessario essere preparati ad esaminare quale fra due o più ipotesi, ciascuna corredata di fatti, sia la migliore. Esistono metodi anche per questo, che non starò qui a discutere, ma il cui elemento di base è questo: trovare un modo di verifica sperimentale che dia esiti sufficientemente (in senso statistico) diversi, secondo quale delle due o più ipotesi sia migliore. Notate che uso volutamente il termine migliore, non vera: perché ogni tesi, per quanto suffragata da dati, potrà un giorno incontrare anche un singolo fatto in grado di demolirla. Fino a quel giorno, e in mancanza di ipotesi migliori che siano in accordo anche con quel fatto e con tutti quelli precedentemente spiegati dall’ipotesi soccombente, tuttavia, ogni ipotesi gode dello status di “verità scientifica”, con quel senso di provvisorietà inerente al metodo.

 

E questa “verità scientifica” è quella che possiamo ricavare dall’analisi della letteratura tecnica su un certo argomento (non di un singolo articolo); e a questa è necessario attenersi, misurandone solidità (cioè numero di fatti ed esperienze a supporto), utilità (cioè capacità di fare previsioni utili su scala più o meno ampia, per gli scopi che ci si prefigge di raggiungere) ed infine compatibilità con il resto della conoscenza scientifica. Insomma: se una certa opinione non fosse discussa dai ricercatori, e se l’argomento è di natura scientifica, prima chiediamoci se davvero è discutibile, invece di credere che il problema sia la mancanza di democrazia. Dopotutto potrebbe esistere una nuova maniera di formulare il nostro pensiero, questa sì interessante e meritevole di discussione, senza scomodare filosofia, democrazia e diritto di opinione.

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