(foto EPA)

Cattivi scienziati

Come il cambiamento climatico influenza le pandemie

Enrico Bucci

Uno studio pubblicato su Nature ci dice come uno degli effetti dell'aumento di temperatura è una maggiore trasmissione dei virus tra specie mai prima così strettamente in contatto. Ecco perché serve investire sulla sorveglianza dei patogeni così come sulla biodiversità

Chi vede nel cambiamento climatico la più grave catastrofe incipiente tende ad addebitare a questo fenomeno ogni tendenza al peggioramento nei più diversi settori. Un esempio di ciò consiste nel prevedere che, a causa del riscaldamento globale, saremo maggiormente colpiti da agenti patogeni e quindi il numero di pandemie che possiamo aspettarci aumenterà, anche oltre quanto il nostro semplice aumento numerico e la nostra invasività degli ambienti naturali stiano già causando. Ma è davvero possibile prevedere un simile effetto del riscaldamento globale in corso?

Prova a rispondere a questa domanda un recente lavoro pubblicato su Nature ad aprile di quest’anno. Gli autori di questo lavoro hanno innanzitutto provato a modellare il cambio di distribuzione provocato dal previsto aumento di temperatura per 3139 specie di mammiferi selvatici. Il caldo, come ci si può attendere, porterà infatti tutte le specie a spostarsi inseguendo l’ambiente più consono climaticamente, corrispondente alla propria nicchia ecologica visto l’effetto della temperatura sulla sopravvivenza di molte specie; gli autori hanno provato a modellare questi cambiamenti, insieme ai corrispondenti cambiamenti di utilizzo del territorio da parte dell’uomo, da qui al 2070.

 

Gli scenari ricavati da questa analisi permettono di evidenziare come effetto dell’aumento di temperatura l’aggregazione delle specie considerate in nuove combinazioni ad alta quota, in nuovi hotspot di biodiversità e, soprattutto, in aree ad alta densità di popolazione umana, sia in Asia che in Africa. A sua volta, scrivono i ricercatori, questo porterà alla trasmissione dei virus fra specie mai prima così strettamente in contatto, per un totale di eventi di trasmissione in eccesso stimati in circa 4000 nel periodo di tempo considerato dall’analisi.

Inoltre, a causa della loro capacità di dispersione rapida su distanze molto elevate, i pipistrelli negli scenari modellati rappresentano la fonte della maggior parte degli eventi di salto di specie da parte di virus, ed è probabile che indirizzino virus lungo percorsi evolutivi che faciliteranno la futura emergenza di contagi negli esseri umani. Infine, i ricercatori avvertono che, da quel che si può ricavare attraverso i loro modelli, la transizione ecologica ed epidemiologica causata dal riscaldamento globale è già in corso e mantenere il riscaldamento al di sotto di 2 °C entro il ventunesimo secolo non ridurrà apprezzabilmente la futura condivisione virale.

A questo punto, è necessario fare alcune considerazioni. Innanzitutto, come sempre in questo tipo di studi, il dettaglio della previsione – il numero di eventi di spill-over, per esempio, e anche la velocità a cui questi aumenteranno – sono strettamente legati a variabili la cui stima è, per essere buoni, affetta da grande errore: la distribuzione delle nuove nicchie ecologiche, per esempio, è cruciale, così come la corretta modellazione della condivisione di virus fra specie ospiti compatibili o come la previsione del futuro uso del territorio da parte degli esseri umani. Fatta questa considerazione cautelativa, tuttavia, resta un risultato di tendenza difficilmente controvertibile: la riduzione complessiva dell’habitat per molte specie aumenterà inevitabilmente la sovrapposizione sia fra specie non umane che fra queste e l’areale ad alta densità di popolazione umana.
Qualunque sia il tasso di spill-over che ne risulterà, esso inevitabilmente aumenterà in misura maggiore di quanto non sarebbe già avvenuto per sovrappopolazione e invasività ambientale dell’uomo: dunque sì, la previsione di chi riconduce al riscaldamento globale anche questo ulteriore effetto negativo è corretta.

 

Vi è inoltre altro da considerare. Il lavoro si concentra nel considerare eventi di spill-over all’uomo a partire da mammiferi selvatici; ma innanzitutto esistono altre classi di vertebrati in grado di infettarci, a cominciare dagli uccelli, in secondo luogo le virosi possono riguardare anche specie di mammiferi domestici per noi molto importanti, ed infine non esistono solo i patogeni virali, ma anche quelli batterici o eucariotici. In tutti i casi, si applicano gli stessi effetti e lo stesso tipo di considerazioni ritrovati nel lavoro citato dagli autori; il rischio, quindi, è complessivamente maggiore di quello discusso nell’ambito di quell’articolo, e può essere ulteriormente allargato a considerare i patogeni delle nostre piante domestiche. Qual è la conclusione da trarre? La stessa che traggono i ricercatori citati: i risultati evidenziano l'urgente necessità di associare la sorveglianza dei patogeni emergenti con le indagini sulla biodiversità, tenendo conto dei cambiamenti di distribuzione e densità delle specie, specialmente nelle regioni tropicali che contengono la maggior parte dei patogeni potenzialmente zoonotici e che stanno vivendo un rapido riscaldamento. Questa sorveglianza è l’unica in grado di consentire una possibile reazione di mitigazione; perché il cambiamento climatico è già arrivato, e gli effetti previsti sono cominciati.