Alexei Nikolsky, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP 

Cattivi scienziati

Anche gli scienziati russi criticano chi ha troppa fretta di lanciare Sputnik

Enrico Bucci

Una lettera di tre scienziati russi denuncia lo studio di Lancet sul vaccino Sputnik V. Mettere a rischio le persone pur di arrivare primi nella gara delle dichiarazioni è qualcosa che non ci possiamo permettere

Dietro al battage mediatico – un disegno difettoso, un’esecuzione scarsa e una pubblicazione discutibile. Questo è il titolo di un’importante lettera che è stata appena pubblicata in Russia, che mostra ancora una volta quanto fosse imperfetto lo studio pubblicato da Lancet sulla sperimentazione di Fase 1/2 per il vaccino “Sputnik V”. Gli autori sono Vasily Vlasov, medico, professore della National Research University Higher School of Economics, Olga Rebrova, Ph.D., professore del Pirogov Russian National Research Institute of Medical Sciences, e Valery Aksenov, redattore scientifico della casa editrice Bionica Media. Vlasov e Aksenov sono vicepresidenti della Russian Society for Evidence Based Medicine.

 

Come nel caso delle nostre molteplici richieste di accesso ai dati primari dello studio (richieste reiterate 4 volte, fino a oggi), gli autori della lettera sono rimasti sbalorditi dalla mancanza di risposta da parte di chi su Lancet ha pubblicato un articolo per sostenere la sicurezza e l’efficacia del vaccino russo (il dott. Logunov e i suoi coautori del Gamaleya Institute). Devo qui aggiungere che diversi altri ricercatori da tutto il mondo hanno sperimentato esattamente la stessa mancanza di trasparenza e risposte da parte dell’Istituto Gamaleya, inclusi alcuni scienziati di alto profilo affiliati all’Accademia delle scienze russa. È interessante notare che Vlasov, Rebrova e Aksenov sottolineano ulteriori problemi rispetto a quanto già fatto da noi, e sulla scorta soprattutto della mancanza di risposte hanno chiesto a Lancet una ritrattazione dell’articolo di Logunov.

 

A questo punto è molto difficile comprendere la mancanza di una qualsiasi reazione editoriale significativa da parte di Lancet, che dovrebbe seguire le linee guida Cope e le proprie procedure nell’affrontare il mancato accesso ai dati primari di uno studio; è sconcertante vedere che il comitato editoriale sembra non essere interessato alla cosa. Vale la pena quindi di ricapitolare quali sono gli ulteriori punti critici messi in luce da Vlasov, Rebrova e Aksenov. Innanzitutto, si sottolinea come, a oltre un mese dalla richiesta di accesso ai dati primari dello studio, nessuna risposta sia giunta dal Gamaleya Institute; di per sé, questa è una grossolana violazione delle regole di trasparenza e integrità nella ricerca scientifica.

 

Si evidenzia poi come, una volta selezionati 100 volontari per lo studio di fase 1/2, si sia proceduto solo su 76 di essi, senza dare nessuna spiegazione della cosa; inoltre, non essendo fornita indicazione chiara di come si siano formati i vari gruppi sperimentali, la probabilità di bias a giudizio dei tre scienziati russi è molto alta. Inoltre, sebbene l’efficacia del vaccino nell’indurre anticorpi sia riportata pari al 100 per cento, in realtà avere utilizzato gruppi di 20 pazienti per mostrarla porta a un intervallo di errore su questa stima molto alto. Anche peggio sono gli aspetti che riguardano la sicurezza del vaccino, che resta inaccettabilmente sconosciuta a seguito dei dati riportati: con i piccoli campioni utilizzati, la probabilità di perdere eventi avversi anche importanti indotti dal vaccino è molto alta (gli autori della lettera la calcolano pari al 17 per cento).

 

 

Ancora peggio, i numeri riportati nel testo per la quantità di anticorpi specifici misurati all’inizio della sperimentazione divergono fra le figure e le tabelle dell’articolo, così come in diversi casi i valori medi degli anticorpi indotti dal vaccino liofilizzato. Questi sono i punti principali che riguardano l’articolo principale su Lancet, sollevati dagli autori della lettera; tuttavia, gli stessi autori non mancano di rilevare che per la prima comunicazione di efficacia relativa alla fase 3 (i risultati ad interim su 20 volontari) si è fornita una percentuale di efficacia prima ancora di avere vaccinato i volontari con la seconda dose. Se questo fosse vero, si tratterebbe di un’ulteriore, inaccettabile falsificazione comunicativa.

 

A questo punto, vorrei essere molto chiaro: la tecnologia del vaccino russo, la sua sicurezza e la sua efficacia potrebbero anche essere tutte perfette. Quello che non è accettabile è iniettare il vaccino su larga scala, bruciando le tappe e, così facendo, il metodo scientifico, con la complicità di una rivista prestigiosa come Lancet. Certo che magari i dati arriveranno, e magari sarà proprio Lancet a pubblicare un inappuntabile studio di fase 3 in merito; ma accettare di mettere a rischio le persone pur di arrivare primi nella gara delle dichiarazioni è qualcosa che non possiamo permettere.

 

Bene ha fatto quindi un anonimo funzionario europeo, citato dall’agenzia russa Interfax, a ribadire il 24 novembre che non vi sono procedure di valutazione aperte per un prodotto di cui non si hanno dati, dichiarando testualmente che “la commissione non dispone di dati su questo vaccino russo” e che “l’Ema (Agenzia europea per i medicinali) non ha ricevuto alcuna richiesta di autorizzazione alla commercializzazione di tale vaccino per il Covid-19. Non può valutare e non può commentare la sua sicurezza ed efficacia”. E bene hanno fatto i colleghi russi, non gli unici peraltro della comunità scientifica di quel paese, a scrivere una lettera per tentare di ristabilire l’etica e l’integrità del processo di sperimentazione dei vaccini: a loro deve andare tutto il nostro supporto e la nostra solidarietà.

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