Covid, andata e ritorno tra specie diverse: l'uomo e i visoni

Enrico Bucci

Il virus muta e si adatta, ma vaccini e anticorpi non perderanno efficacia

Il 6 novembre 2020 l’Italia ha registrato 37.809 nuovi casi di coronavirus (e la Lombardia da sola ha sfiorato i 10 mila), rilevati con un numero record di tamponi: 234.245. Le vittime ieri sono state 446, 124 i nuovi ricoveri in terapia intensiva.


   

Molta allarme sta generando la notizia, proveniente dalla Danimarca, che saranno abbattuti milioni di visoni negli allevamenti di quel paese a causa dell’identificazione di un presunto nuovo ceppo di SARS-CoV-2 che sarebbe mutato in modo da evadere la nostra risposta immunitaria e quindi rendere inefficaci i vaccini.

  

Cerchiamo di ristabilire i fatti.

  

Innanzitutto, come è possibile vedere sul sito della World Organization For Animal Health, a partire da aprile sono state segnalate infezioni di visoni negli allevamenti, causati dalla loro esposizione a soggetti umani poi risultati positivi al virus. Abbiamo quindi assistito ad una zoonosi inversa: per i visoni, la nostra specie è stata ciò che per gli umani è stato il pipistrello. Nei visoni, come del resto negli umani, il virus ha continuato a mutare, come dimostrato già a giugno grazie al sequenziamento genetico. 

  

Il fatto che i visoni siano infettabili da SARS-CoV-2 è noto da tempo; del resto questi animali sono molto suscettibili all’infezione da parte di ogni tipo di diversi coronavirus.

 

La novità, questa volta, consiste nell’osservazione del “ritorno” all’uomo del virus, dopo che i visoni sono stati infettati come segnalato dai ricercatori all’inizio di settembre.

 

Ora la domanda è: se il virus è stato trasmesso dagli umani ai visoni, fra i visoni è mutato, ed ha poi reinfettato addetti agli allevamenti (a quanto sembra arrivando a coinvolgere centinaia di persone), le mutazioni che nei visoni sono state selezionate hanno effetto sull’interazione tra virus e uomo?

 

Per rispondere, è d’aiuto il fatto che nel database GISAID, contenente tutte le sequenze fin qui rese note degli isolati di SARS-CoV-2, circa 48 ore fa i danesi hanno depositato un bel gruppo di nuove sequenze, che sono proprio quelle dei visoni e di alcuni dei soggetti umani da essi infettati in Danimarca.

 

Analizzando queste sequenze, si ritrovano nella proteina spike del virus 4 mutazioni associate fra loro (del69/70, Y453F, I692V e M1229I) ed una quinta mutazione separata (N439K). Si tratta di mutazioni in massima parte già note nell’uomo, ma non osservate associate tra di loro come nei visoni.

 
La cosa importante è che due fra queste 5 mutazioni, e precisamente Y453F e N439K, cadono nella regione della proteina spike che media il riconoscimento del recettore umano usato dal virus per infettare le nostre cellule e quelle dei visoni (ACE2). Questa regione, nota come RBD, è usata sia nello sviluppo vaccinale che nello sviluppo degli anticorpi monoclonali, perché anticorpi che siano in grado di riconoscerla riescono a bloccare l’interazione fra la proteina spike del virus e ACXE2 umano, prevenendo così l’infezione.

 

È quindi lecito il dubbio che mutazioni in questa regione possano permettere al virus di evadere la risposta immune (naturale o vaccinale) e di sfuggire agli anticorpi monoclonali.

 

La prima delle due mutazioni avvenute nel dominio RBD, Y453F, in effetti, oltre a rendere forse il virus più affine al recettore ACE2 di visone (il che spiegherebbe la selezione fra i visoni) rende il virus capace di sfuggire ad uno degli anticorpi monoclonali di Regeneron (REGN10933); tuttavia, altri 3 anticorpi (REGN10987, REGN10989 e REGN10934) non sono neutralizzati dalla mutazione, e funzionano anche in cocktail con quello inibito.

 

La seconda, N439K, ha maggiore affinità per ACE2 umano, ed infatti sembra si stia diffondendo in Europa da qualche mese; questa mutazione conferisce al virus la possibilità di evitare il riconoscimento da una serie di anticorpi monoclonali, ma soprattutto i virus che ne sono portatori sono poco riconoscibili dagli anticorpi di circa il 10 per cento di pazienti guariti dall’infezione con il virus “naturale”.

 

Prima di preoccuparsi, vi sono alcune osservazioni importanti: innanzitutto, i pazienti che risultano reinfettabili sono proprio quelli che hanno sviluppato una bassa risposta immune al virus “naturale”. In secondo luogo, cocktail di anticorpi monoclonali riescono a compensare anche più di una mutazione come quelle identificate.

  
In terzo luogo, sono in sperimentazioni vaccini ottenuti con il virus intero, e non solo con la proteina spike o porzioni di essa, i quali ovviamente non dovrebbero essere particolarmente affetti da mutazioni singole su una singola proteina.

   
Quindi, possiamo concludere che stiamo assistendo al naturale adattamento del virus a più di una specie, con andata e ritorno tra specie diverse, e con l’emersione di diverse mutazioni che comportano una relativa evasione immune, come ci si aspetta da un punto di vista puramente darwiniano. Ma ci vuol ben altro per dichiarare inefficaci o senza possibilità di successo vaccini e anticorpi monoclonali.

 

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