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In morte di Jerry Fodor, il gigante che aveva paura delle suore darwiniane

Massimo Piattelli Palmarini

Ricordo di uno dei pionieri delle moderne scienze cognitive

Si è spento mercoledì, a New York, all’età di 82 anni, dopo una lunga e debilitante malattia, il filosofo, linguista e cognitivista Jerry Fodor, un gigante del settore e uno dei pionieri, insieme a Noam Chomsky, delle moderne scienze cognitive. Nato a New York, formatosi in Filosofia alla Columbia University e poi a Princeton, fu per 27 anni professore al Mit, e infine alla Rutgers University (nel New Jersey), messosi in pensione, per motivi di salute, nel 2016. Amico di lunga data, ho avuto il privilegio di scrivere con lui il criticatissimo saggio Gli Errori di Darwin, sul quale ritornerò tra un momento. Il più noto dei suoi molteplici e fondamentali contributi è probabilmente il breve, denso libro del 1983 sulla modularità della mente. Da allora, infatti, è abituale usare l’espressione “la modularità alla Fodor”.

 

In quel saggio, aveva proposto precisi criteri per decidere se un processo mentale è, o non è modulare. Aggiunse allora che, se un processo mentale è modulare, allora si può sperare di capirlo. Meno un processo è modulare, meno lo si capisce. Dei processi assolutamente non modulari non capiamo assolutamente niente. E’ famoso per le sue battute di spirito, in classe e per iscritto, ricordiamo le seguenti: “C’è molto tunnel alla fine della luce”; “L’accademia tende a trasformare la farfalla di nuovo in bruco”; “Detesto il relativismo più di ogni altra cosa, a parte i motoscafi”. Sul recente programma minimalista di Chomsky in sintassi, secondo il quale le strutture fondamentali del linguaggio si riducono a un ristrettissimo inventario, Jerry mi disse: “Siamo abituati a vedere Noam trarre un coniglio fuori da un cappello, ma ora il coniglio poi sparisce e sparisce anche il cappello. Molto elegante, ma dubito funzioni veramente”.

 

Chiedo al suo antico maestro e poi collega e amico, Noam Chomsky, un ricordo di Fodor e dei suoi lavori. Dopo tanti anni al Mit, adesso Chomsky si è trasferito stabilmente all’Università dell’Arizona. Mi dice: “Circa trent’anni fa ebbi il privilegio di insegnare un corso avanzato con Jerry, al Mit. Fu davvero un’esperienza. Stava cominciando a sviluppare le sue idee su modularità e innatismo. Gli studenti erano folgorati (transfixed) non solo dalla novità e importanza delle idee, ma dal vedere in azione una mente tanto raffinata. Esponeva le sue idee e subito cercava le possibili obiezioni, riformulandole su basi più solide. La sua teoria della mente centrata su computazioni e rappresentazioni presto divento lo standard nel campo delle scienze cognitive. Le sue teorie dei concetti e del “linguaggio del pensiero” (language of thought) sono insuperate per profondità e importanza. Jerry è una delle figure portanti e fondatrici delle scienze cognitive e un leader. Ha anche notevolmente contribuito alla moderna filosofia del linguaggio e della mente”. Aggiungo che, naturalmente, molte delle sue tesi sono state criticate. Jerry aveva massima stima, tra tutti i suoi oppositori, del filosofo americano Daniel Dennett, suo compagno di vela. Dennett mi dice, proprio oggi, in una email, che ha sempre molto imparato dai suoi disaccordi con Fodor.

 

Vengo infine al nostro saggio su Darwin, svillaneggiato in svariate recensioni, in Italia e altrove. Dennett ne è stato uno dei più fieri critici. Una rara e graditissima eccezione fu una tavola rotonda, organizzata da Giuliano Ferrara alla sede romana del Foglio e poi pubblicata. Il tormentato destino di quel nostro saggio mi sembra ben riassunto dal seguente episodio. Mi disse Jerry che, in una sua conferenza in Inghilterra su questo tema, un anziano accademico obiettò: “Non dovrebbe dire queste cose, proprio non dovrebbe”. Jerry chiese: “Anche se sono vere?”. Con enfasi quel signore replicò: “Specialmente se sono vere!”. Un insigne genetista ed evoluzionista americano, da noi citato nel libro, in quanto ha scritto che la selezione naturale è solo uno dei fattori dell’evoluzione e probabilmente “nemmeno il più importante” (testuale), era orripilato di essere stato da noi citato. Non aveva letto il libro, né, mi si dice, intende leggerlo, ma dal solo titolo era convinto fossimo dei creazionisti. Eppure, nella prima pagina, diciamo in modo chiaro che rifuggiamo drasticamente dal creazionismo e dall’idea di un “design intelligente”. Jerry in privato aggiungeva: “Design? Ne dubito molto! Intelligente?? Ma non scherziamo!”. Alla fine della tavola rotonda, dissi a Giuliano Ferrara che Fodor, stanco delle polemiche, pensava inizialmente di ritirarsi in un convento di suore a riflettere e rilassarsi, ma poi aveva cambiato idea, perché le suore potevano essere darwiniane. Ferrara rise e mi chiese se poteva pubblicare questa battuta. Gli dissi: certamente. E infatti la pubblicò.

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