Severino Antinori (foto LaPresse)

Le molte storie vere illuminate dalla storia selvaggia di Antinori

Annalena Benini
Il ginecologo è accusato di selvaggerie sui corpi delle donne, di essere “obnubilato dalla finalità di guadagno” e di avere adescato donne giovani e belle per costruire bei figli alle pazienti speranzose: gli ovuli in valigia, i mille euro, e se cambi idea ti lego al letto perché quello che hai dentro mi serve subito.

Le donne piangono la notte pensando agli embrioni sequestrati dai Nas e portati via dalla clinica di Severino Antinori, il famoso e controverso ginecologo arrestato con l’accusa di avere prelevato tre ovuli con la forza a un’infermiera spagnola di ventiquattro anni. Piangono perché quegli embrioni sono il desiderio, la possibilità, i figli. Hanno paura, implorano gli avvocati di fare presto, Antinori aveva già fissato la data dell’impianto e ogni giorno che passa è un disastro.

 

Antinori è accusato di selvaggerie sui corpi delle donne, di essere “obnubilato dalla finalità di guadagno” e di avere adescato donne giovani e belle per costruire bei figli alle pazienti speranzose: gli ovuli in valigia, i mille euro, e se cambi idea ti lego al letto perché quello che hai dentro mi serve subito. Adesso che una trentenne romana ha ottenuto il dissequestro di tre dei suoi embrioni, e ci sono centonovanta coppie in ansia per questi sigilli al “materiale biologico” (hanno paura che “muoia” o subisca danni durante il trasporto, durante il congelamento, tremano per quel futuro già così difficile da raggiungere), questa storia travestita da far west, da sfrenatezza di un medico che si sentiva onnipotente, fa uscire molta verità: gli embrioni trattati come corpi del reato a cui mettere i sigilli, come oggetti, e invece pianti come figli portati via ai genitori. E l’ovodonazione per la fecondazione eterologa, trattata come la possibilità di un gesto generoso e gratuito, d’amore e di libertà, e invece trasformata in mercato nero fondato sulla necessità, come ogni volta: ho bisogno di mille euro, forse di duemila, allora mi lascio visitare, poi bombardare di ormoni, si chiama stimolazione ovarica ed è pesante e invasiva anche su una ventenne, piango, mi fa male la pancia, mi addormentano e mi operano, arrivederci e grazie, ecco i tuoi soldi e sta’ zitta (la donazione maschile è molto diversa, lo sappiamo). Così dentro questa storia crudele e squinternata ci sono due tipi di donne: quelle da rassicurare, a volte illudere e a cui promettere un figlio, e quelle da trattare come contenitori di materiale biologico indispensabile. Senza le follie (da dimostrare) esercitate da Severino Antinori, queste verità non hanno spazio. Così anche adesso è più semplice indignarsi contro il ginecologo dei soprusi, che voleva clonare gli esseri umani, presidente dell’Associazione mondiale di medicina della riproduzione, e non accorgersi delle molte storie illuminate da questa storia: donne che piangono la notte per gli embrioni lasciati soli e in pericolo, e noi che continuiamo a chiamarlo “materiale biologico”.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.