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Editoriali

Il governo dà i numeri sulla sanità

Redazione

I “7,4 miliardi” sbandierati nella manovra sono un gioco di prestigio, non realtà. Il governo somma i 2,4 miliardi aggiuntivi previsti nella legge di bilancio 2026 ai 5 miliardi già stanziati lo scorso anno, come se fossero risorse nuove. Ma si tratta di cifre cumulative

 

La matematica non è un’opinione. Eppure, nei numeri sbandierati dal governo Meloni sulla sanità, qualcosa non quadra. Il Fondo sanitario nazionale nel 2026 arriverà a 142,9 miliardi di euro: un incremento di 6,4 miliardi rispetto al 2025, non di 7,4 come dichiarato più volte da Palazzo Chigi. L’errore nasce da un equivoco tutt’altro che marginale: la premier somma i 2,4 miliardi aggiuntivi previsti nella manovra 2026 ai 5 miliardi già stanziati lo scorso anno per lo stesso esercizio, come se fossero risorse nuove, quando invece si tratta di cifre cumulative. In altre parole, il valore indicato per ogni anno non rappresenta l’aumento rispetto all’anno precedente, ma il livello complessivo di spesa che si vuole raggiungere. Dunque, i 5 miliardi destinati al 2026 non sono tutti nuovi fondi: una parte (circa 1,3 miliardi) era già prevista per il 2025, per cui l’aumento effettivo tra i due anni è di circa 3,7 miliardi.

 

La differenza sembra tecnica, ma cambia tanto la narrazione politica quanto la reale disponibilità per il ministro Schillaci che potrà contare su 1 miliardo in meno rispetto alla cifra sbandierata da Meloni. Altro nodo tutt'altro che sciolto riguarda il personale. L’indennità di specificità medica aumenterà di circa 230 euro lordi al mese, ma solo sulla carta: le risorse sono vincolate al rinnovo del contratto collettivo 2025-2027 e non entreranno subito in busta paga. Inoltre, non c’è alcuna garanzia che l’aumento resti negli anni successivi, né si interviene sull’indennità di esclusività, nonostante le promesse. Si continua a puntare su aumenti una tantum, legati a un solo anno e destinati a svanire quando l’emergenza carenza di personale sarà rientrata, lasciando i medici con contratti 'poveri', i cui incrementi sono ampiamente inferiori al tasso inflattivo. Il governo continua cioè a puntare su incentivi temporanei e straordinari –  prestazioni aggiuntive, fondi per il disagio –  invece di costruire un sistema retributivo stabile e competitivo. Il rischio è che la sanità  possa così continuare a perdere pezzi, mentre il governo rincorre cifre che non tornano.

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