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Cattivi scienziati
Perchè si preferisce l'alternativa naturale al farmaco sintetico anche quando non è il caso
Una revisione sistematica pubblicata su Acta Psychologica spiega il legame tra la preferenza per il “naturale” e le credenze complottiste in ambito medico. Dalle scorciatoie cognitive alla sfiducia nelle istituzioni: come pensieri intuitivi e cultura influenzano le scelte sanitarie
Un’interessante e completa revisione della letteratura appena pubblicata su Acta Psychologica firmata da Lorenzo Gagliardi, ricercatore post-doc presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova, affronta un tema cruciale: l’intreccio fra la preferenza per ciò che viene percepito come naturale e la diffusione delle credenze complottiste nelle scelte mediche e sanitarie. Al centro c’è il cosiddetto naturalness bias, cioè la tendenza a considerare più sicuri ed efficaci i prodotti naturali rispetto a quelli sintetici. Si tratta di un pregiudizio che non poggia su basi scientifiche: tutti sappiamo che sostanze perfettamente naturali possono essere mortali, mentre farmaci sintetici sono spesso salvavita. Eppure, di fronte a due cure descritte come equivalenti per efficacia e sicurezza, la maggioranza delle persone sceglie comunque l’opzione “naturale”. Non è solo un fenomeno tra i consumatori: anche medici e professionisti sanitari rivelano la stessa inclinazione, segno che la distorsione non si estingue con la competenza tecnica. Inoltre, il bias resiste alle informazioni correttive: perfino quando si spiega chiaramente che il prodotto naturale è meno sicuro o meno efficace, una quota significativa di individui continua a preferirlo.
Il legame con le credenze complottiste emerge proprio da questo cortocircuito cognitivo. Le teorie del complotto in ambito medico si fondano su una visione del mondo in cui élite potenti — governi, industrie farmaceutiche, istituzioni scientifiche — agiscono deliberatamente contro la salute pubblica, nascondendo cure efficaci o diffondendo trattamenti pericolosi per profitto o controllo sociale. È un immaginario che si sovrappone perfettamente al bias di naturalità: se il farmaco sintetico è percepito come frutto di interessi malevoli, allora l’alternativa naturale diventa il rifugio etico e sicuro. Si genera così un rafforzamento reciproco: la convinzione complottista spinge a rifiutare la medicina convenzionale e a preferire rimedi naturali, mentre la preferenza per il naturale porta a razionalizzare il rifiuto dei trattamenti ufficiali attribuendolo a complotti e corruzione.
Questo intreccio si regge su tre pilastri psicologici ben riconoscibili. Il primo è una visione manichea della realtà, che divide nettamente il bene (la natura, la purezza) dal male (la tecnologia, l’industria, la scienza istituzionale). Il secondo è il bisogno di autonomia: molti pazienti rifiutano il paternalismo medico e cercano nel ricorso ai rimedi naturali un modo per riappropriarsi del controllo sulle proprie scelte, in perfetta sintonia con la diffidenza che alimenta il complottismo. Il terzo è uno stile cognitivo intuitivo, che privilegia le scorciatoie euristiche e l’immediatezza delle associazioni mentali rispetto alla riflessione critica: se è naturale allora deve essere buono, se viene dalle multinazionali allora deve essere pericoloso. Questi meccanismi si sovrappongono e producono comportamenti coerenti con la loro logica interna, ma potenzialmente disastrosi sul piano sanitario. Le conseguenze sono concrete. Si adottano rimedi inefficaci o addirittura dannosi perché percepiti come più puri, si rinviano cure necessarie e si riduce l’adesione a terapie salvavita. Il fenomeno è aggravato dal fatto che la preferenza per il naturale non riguarda solo i pazienti, ma penetra anche nella pratica clinica, dove medici e farmacisti talvolta incoraggiano soluzioni presentate come “alternative” o “integrative”. Così facendo, anche senza volerlo, finiscono per rafforzare le stesse narrazioni che alimentano la sfiducia verso la medicina convenzionale.
È importante sottolineare che questa dinamica non nasce nel vuoto. La diffidenza verso le istituzioni scientifiche e sanitarie ha radici storiche reali: scandali, conflitti di interesse, cattive pratiche hanno eroso la fiducia e reso più fertile il terreno su cui si innestano bias cognitivi e teorie del complotto. Non basta quindi puntare tutto sul debunking o sulle correzioni informative: per chi è già immerso in una visione complottista, la confutazione diretta può addirittura rinforzare l’identità di gruppo e la percezione di essere vittime di un potere ostile. Occorre agire su un piano più ampio, che includa la ricostruzione della fiducia nelle istituzioni, la promozione di un rapporto medico–paziente più partecipativo e il rafforzamento delle capacità critiche, cognitive e metacognitive.
Ciò che emerge è che il bias di naturalità e il complottismo non sono deviazioni indipendenti, ma due manifestazioni di un medesimo modo di pensare, che combina diffidenza, intuizione immediata e desiderio di controllo. Capire questo intreccio significa riconoscere che la sfida alla disinformazione sanitaria non è solo una battaglia di dati, ma un confronto con mondi mentali che si radicano in emozioni profonde, schemi culturali e memorie storiche. È in questa trama che si decide se una società saprà scegliere cure efficaci basandosi su prove, o se resterà intrappolata nella fascinazione illusoria del naturale e nella retorica del complotto.