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Cattivi scienziati
Dal vaccino anti-covid al primo trial su un mRNA contro il cancro al polmone
A Londra la prima somministrazione del vaccino BNT116. A differenza della chemioterapia, che colpisce indiscriminatamente anche cellule sane, l’mRNA vaccinale stimola una risposta immunitaria che idealmente attacca solo le cellule cancerose risparmiando i tessuti sani circostanti
Pensare di poter ottenere un vaccino contro il cancro al polmone che funziona come quelli anti-Covid sembra fantascienza, e invece potrebbe diventare realtà fra pochi anni: un paziente di 67 anni a Londra è diventato il primo al mondo a ricevere una dose di un nuovo vaccino a RNA messaggero (mRNA) contro una forma di tumore polmonare. Si tratta del candidato vaccino BNT116, sviluppato dall’azienda tedesca BioNTech (la stessa del vaccino Pfizer-BioNTech per il Covid-19), e la sua prima somministrazione è avvenuta nell’ambito di uno studio clinico internazionale definito “groundbreaking” dagli esperti per il potenziale di salvare milioni di vite.
Il trial di fase 1 – il primo al mondo su un vaccino mRNA contro il carcinoma polmonare – coinvolge circa 130 pazienti in 34 centri di ricerca distribuiti in sette paesi (Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Ungheria, Polonia, Spagna e Turchia). L’obiettivo iniziale è valutare la sicurezza e il dosaggio ideale di BNT116 in diverse impostazioni cliniche, dalla malattia in stadio precoce (prima o dopo l’intervento chirurgico) fino a casi avanzati o tumori recidivanti, sempre in combinazione con le terapie standard disponibili. Il fatto che il tumore del polmone sia la principale causa di morte oncologica a livello globale – con circa 1,8 milioni di decessi l’anno e prognosi spesso infausta nelle forme avanzate – fa capire perché questa sperimentazione susciti tanto interesse e speranza.
Ma come funziona esattamente questo vaccino anticancro a mRNA? In maniera non troppo diversa dai vaccini anti-Covid: BNT116 contiene infatti le “istruzioni” genetiche sotto forma di mRNA che inducono le cellule del paziente a produrre specifici antigeni tumorali – proteine marker caratteristiche del tumore al polmone non a piccole cellule – allo scopo di esporle al sistema immunitario. In altre parole, il vaccino addestra il sistema immunitario a riconoscere questi bersagli come minacce, in modo che globuli bianchi, e specialmente i linfociti T, possano poi cercare ed eliminare selettivamente le cellule tumorali che esprimono tali proteine. BNT116 è progettato per essere altamente mirato: a differenza della chemioterapia, che colpisce indiscriminatamente anche cellule sane, l’mRNA vaccinale stimola una risposta immunitaria che idealmente attacca solo le cellule cancerose risparmiando i tessuti sani circostanti. Secondo quanto comunicato da BioNTech, il vaccino contiene un “cocktail” di sei molecole di mRNA differenti, ognuna codificante per un diverso antigene derivato da proteine le cui mutazioni sono associate ai tumori polmonari, scelte fra le più presenti nelle cellule di carcinoma polmonare non a piccole cellule.
Presentando al sistema immunitario più bersagli simultaneamente, si punta a superare l’eterogeneità del tumore e scatenare una risposta più ampia e robusta contro la malattia, rendendo al contempo difficile l’evasione immunitaria attraverso ulteriori mutazioni compensative. Il paziente londinese che per primo ha ricevuto BNT116 rappresenta il volto di questa speranza scientifica. Janusz Racz – 67 anni, di origine polacca e lui stesso scienziato nel campo dell’intelligenza artificiale – si è offerto volontario poco dopo aver terminato un ciclo di chemio e radioterapia per un tumore polmonare diagnosticato nel maggio scorso. “Ho riflettuto e poi deciso di partecipare perché spero che [il vaccino] possa fornirmi una difesa in più contro le cellule tumorali” ha dichiarato il paziente, aggiungendo che da ricercatore è consapevole di come il progresso in medicina dipenda anche dalla disponibilità dei malati a partecipare agli studi sperimentali.
La motivazione di Racz non è solo personale: “Spero che il mio coinvolgimento in questa ricerca possa aiutare altre persone in futuro e contribuire a rendere questa terapia più ampiamente disponibile” ha affermato, ribadendo di voler dare il proprio apporto perché questa “nuova metodologia” possa essere provata e, se efficace, applicata su scala più ampia il prima possibile. In effetti l’idea di un vaccino terapeutico contro il cancro è quella di offrire ai pazienti un’arma aggiuntiva e duratura: nel caso di Racz, ad esempio, il vaccino dovrebbe fungere da scudo contro eventuali cellule residue dopo i trattamenti convenzionali, riducendo il rischio che il tumore si ripresenti. Proprio la possibilità di “vaccinare i pazienti contro il proprio cancro per prevenire le ricadute dopo le cure iniziali” viene vista come uno dei traguardi più interessanti che si potrebbero raggiungere.
Dal punto di vista clinico, BNT116 viene testato in diverse coorti di pazienti e in associazione ad altre terapie immunoterapiche già in uso. Per ovvie ragioni etiche, tutti i partecipanti allo studio ricevono infatti il vaccino in aggiunta al trattamento standard per il loro stadio di malattia. Ad esempio, nei casi avanzati il protocollo prevede di somministrare BNT116 insieme a un farmaco immunoterapico chiamato cemiplimab (un inibitore di PD-1 già approvato per il tumore al polmone), oppure con la chemioterapia (es. docetaxel) in pazienti che hanno già ricevuto altre cure.
Nei pazienti in stadio più iniziale, invece, il vaccino viene aggiunto dopo la chemioradioterapia o in fase pre-operatoria, con l’obiettivo di eliminare micrometastasi occulte e “insegnare” al sistema immunitario a sorvegliare a lungo termine l’organismo contro eventuali cellule tumorali rimaste. Il regime di dosaggio è più complesso di quello dei vaccini anti-infettivi: non basta una puntura, ma sono previste multiple somministrazioni diluite nel tempo. Nel caso di Racz, ad esempio, il piano di trattamento consiste in sei iniezioni ravvicinate (nell’arco di 30 minuti) per iniziare, seguite poi da richiami settimanali per sei settimane e quindi da dosi di mantenimento ogni tre settimane fino a circa un anno. Questo approccio prolungato serve a stimolare ripetutamente il sistema immunitario affinché continui a riconoscere gli antigeni del tumore e a tenere sotto controllo la malattia nel lungo periodo. Naturalmente siamo ancora nelle fasi iniziali della sperimentazione, concentrate principalmente sul verificare la sicurezza del vaccino e trovare la dose ottimale. I medici monitorano attentamente gli eventuali effetti collaterali (finora le vaccinazioni mRNA oncologiche si sono dimostrate gestibili come tossicità, con reazioni infiammatorie temporanee) e soprattutto cercano indizi di risposta immunitaria o segni di efficacia antitumorale nei pazienti trattati.
Sebbene sia presto per trarre conclusioni, i primi segnali raccolti sono incoraggianti. BioNTech ha reso noto che, in una coorte iniziale di pazienti con malattia avanzata e fragili (non idonei a chemioterapia intensiva), l’aggiunta di BNT116 all’immunoterapia ha portato a una riduzione significativa dei tumori in circa il 45% dei casi. Anche in altri sottogruppi si sono osservate risposte immunitarie attive contro gli antigeni del vaccino e periodi di controllo della malattia prolungati rispetto alle aspettative, indicando che il vaccino riesce effettivamente a “risvegliare” le difese contro il cancro.
Al contempo, va notato che non tutti i pazienti rispondono: ad esempio in un gruppo di malati trattati in fase più avanzata dopo il fallimento di altre terapie, il vaccino da solo non ha prodotto regressioni evidenti. Questi risultati preliminari, presentati a congressi scientifici negli ultimi mesi, suggeriscono quindi che BNT116 potrebbe offrire benefici concreti soprattutto se integrato in strategie di combinazione con altri farmaci e magari impiegato in pazienti non troppo compromessi, delineando la strada da seguire nelle prossime fasi di studio. In generale, l’intero campo dei vaccini anti-cancro a mRNA sta vivendo un momento di grande fermento: già da quasi un decennio si stavano testando vaccini a mRNA terapeutici in piccole sperimentazioni su melanomi, tumori del pancreas e altri tumori, con risultati iniziali promettenti (per i melanomi, l’Italia, con il gruppo del Pascale di Napoli guidato dal prof. Ascierto, è all’avanguardia).
Ora, sulla scia dello straordinario successo dei vaccini mRNA anti-Covid, c’è un rinnovato entusiasmo e afflusso di risorse per applicare questa tecnologia anche contro il cancro. Come ha dichiarato un esperto del Dana-Farber Cancer Institute, “il successo dei vaccini mRNA per il Covid-19 potrebbe accelerare la ricerca clinica sui vaccini a mRNA per trattare il cancro”, grazie ai nuovi finanziamenti e all’interesse generato in questo campo. In effetti, mai come ora si stanno lanciando trial clinici di vaccini a mRNA contro vari tipi di tumore (dal melanoma al colon-retto), spesso in combinazione con gli immunoterapici esistenti, nella speranza di migliorare ulteriormente i risultati ottenuti finora con le terapie mirate e gli anticorpi monoclonali.
BioNTech rappresenta un attore di punta in questa rivoluzione terapeutica post-pandemica. Fondata nel 2008 dai coniugi scienziati Ugur Sahin e Özlem Türeci, l’azienda nacque proprio con l’idea di utilizzare l’mRNA per “addestrare” il sistema immunitario a combattere i tumori su misura del singolo paziente. Per anni BioNTech ha lavorato quasi nell’ombra su vaccini personalizzati contro il cancro, finché la pandemia di Covid-19 non le ha dato l’occasione di dimostrare al mondo intero la potenza e la rapidità di questa tecnologia. Il vaccino anti-Covid sviluppato in partnership con Pfizer è diventato il primo farmaco a mRNA approvato al mondo, salvando milioni di vite e validando definitivamente l’approccio dell’mRNA come piattaforma terapeutica.
Forte di questo successo senza precedenti, BioNTech ha potuto accelerare e ampliare i suoi programmi oncologici: ha raccolto ingenti capitali, stretto collaborazioni con enti di ricerca e governi (come il recente accordo da 1 miliardo di sterline per investimenti nel Regno Unito in centri dedicati all’immunoterapia e all’intelligenza artificiale applicata alla medicina) e avviato una serie di studi clinici innovativi come quello di BNT116. “Il nostro rapido sviluppo del vaccino Covid ha confermato l’ipotesi che la tecnologia mRNA si presta a uno sviluppo veloce e a una produzione su scala globale” ha spiegato Lena Kranz, direttrice del settore vaccini anticancro di BioNTech. Ora l’azienda intende applicare le lezioni apprese dalla pandemia per affrontare sfide mediche ancora più complesse: i tumori. Oltre a BNT116 nel carcinoma polmonare, BioNTech sta sperimentando vaccini mRNA personalizzati (specifici per le mutazioni di ogni paziente) ad esempio nel melanoma, in collaborazione con partner come Genentech, e vaccini “off-the-shelf” a antigeni fissi (detti FixVac) per altri tumori solidi come il melanoma stesso (progetto BNT111) o il carcinoma a cellule squamose della testa-collo (BNT113). L’idea è costruire una piattaforma ampia di immunoterapie a mRNA, sia su misura sia “pronte all’uso”, da utilizzare contro diverse neoplasie.
Naturalmente, serviranno anni di studi rigorosi per capire se il vaccino BNT116 manterrà le sue promesse. Gli esperti ricordano che finora nessun vaccino a mRNA è stato ancora approvato contro il cancro e che molti candidati in passato hanno faticato a mostrare benefici clinici decisivi. Tuttavia, mai come oggi si respira ottimismo: le conoscenze sull’immunoterapia sono maturate, l’mRNA ha superato il banco di prova dell’efficacia e sicurezza nell’uomo, e il concetto di combattere il cancro stimolando il sistema immunitario appare sempre più valido, soprattutto dopo i successi dei farmaci inibitori dei checkpoint immunitari. Proprio combinando queste strategie – vaccini e immunoterapia – il trial di BNT116 punta ad aprire una “nuova era” per la cura del tumore al polmone.
Se i risultati saranno positivi, BioNTech prevede di passare rapidamente alla fase 2 già nel corso del 2025, estendendo lo studio a un numero maggiore di pazienti per valutare efficacia e dosi ottimali, e successivamente a studi di fase 3 su scala ancora più ampia. I ricercatori, come il professor Siow Ming Lee che coordina il trial nel Regno Unito, auspicano che in caso di successo nel giro di alcuni anni questo vaccino possa entrare nella pratica clinica e diventare parte integrante dello standard di cura per il carcinoma polmonare. Lungo la strada potranno emergere ostacoli e andranno confermati sia la sicurezza che il reale beneficio terapeutico, ma la direzione intrapresa è chiara.
Come ha dichiarato il National Health Service britannico, il fatto stesso di poter “provare a vaccinare i malati contro il proprio tumore” è indice di quanto la ricerca stia trasformando idee un tempo fantascientifiche in potenziali realtà cliniche. Il caso di BNT116 dimostra fino a che punto siamo arrivati: dall’esperienza di una pandemia è nata una speranza concreta per migliaia di pazienti oncologici. Ricordate tutte le sciocchezze sugli mRNA che potevano indurre il cancro? Ecco, questa è la migliore risposta che si poteva dare a simili cialtronate.