Di chi è la colpa? E' il momento di ripensare la responsabilità medica

Cristiano Cupelli

Non è più rimandabile una nuova legge che definisca con maggior chiarezza la punibilità in ambito sanitario. Per avere margini di intervento meno discrezionali

La pandemia ha lasciato in eredità l’esperienza di soluzioni normative temporanee che hanno inciso su un settore assai problematico della responsabilità penale, quello legato all’attività sanitaria. Come si ricorderà, la risposta all’esigenza che medici e operatori sanitari non fossero travolti da inchieste giudiziarie miranti a trovare colpevoli, diversi dal virus, per i decessi avvenuti durante il periodo critico di diffusione del Covid è stata l’introduzione, con il d.l. 44/2021, di un’ipotesi di punibilità limitata alla sola colpa grave (art. 3-bis). Cessata la fase più acuta, e con essa la vigenza della legislazione temporanea, non può non osservarsi come i rischi penali correlati alla complessità della medicina permangono e anzi accompagnano da sempre l’ordinario svolgimento dell’attività sanitaria, in ragione dell’inadeguatezza della normativa e delle relative letture giurisprudenziali a fornire adeguati strumenti di valutazione delle quotidiane emergenze organizzative e di contesto nelle quali i medici sono chiamati a offrire la propria opera di cura e assistenza.

 

Non è più eludibile allora una riflessione sull’opportunità di un nuovo intervento legislativo che ridisegni i confini applicativi della non punibilità medica oltre gli angusti margini della sola imperizia lieve nella fase esecutiva; esigenza oggi all’attenzione della Camera, impegnata ad esaminare la proposta di legge AC 1321, nella quale si immagina di superare “gli aspetti di equivoca interpretazione e di problematica applicazione” dell’art. 590-sexies c.p. mediante la sua abrogazione, facendo rivivere la disciplina previgente e riconducendo le condotte del personale sanitario nell’alveo delle generali ipotesi colpose di cui agli artt. 589 e 590 del codice. 

Si tratterebbe, a ben vedere, di un passo indietro rispetto alle acquisizioni maturate negli ultimi dieci anni, a partire dalla legge Balduzzi, nella tutela della classe medica e nel contrasto alla medicina difensiva. La prospettiva de iure condendo va dunque ricalibrata. Valorizzando il contenuto dell’art. 3-bis, sarebbe preferibile una soluzione volta a circoscrivere la responsabilità penale del sanitario alle sole ipotesi di colpa grave (non solo imperizia, ma pure negligenza e imprudenza) e a stabilizzare un’elencazione orientativa di indici di valutazione della colpa in base ai quali operare l’accertamento, tra i quali: a) la presenza di linee guida; b) lo stato delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie, la cui eventuale limitatezza potrà incidere sull’individuazione tanto dell’esatto quadro patologico quanto, e conseguentemente, delle più appropriate terapie; c) le concrete condizioni di lavoro e la disponibilità delle risorse umane e materiali in relazione al numero dei casi da trattare, la cui eventuale scarsità potrà poi riflettersi sull’adeguata gestione e cura dei pazienti; d) il grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale impiegato per affrontare una situazione di urgenza ed emergenza, che si riverbera sulla misura soggettiva di rimproverabilità; e) il tipo di rischio da gestire e la concreta situazione operativa; f) le carenze strutturali e organizzative, che se gravi possono incidere sul grado di rimproverabilità individuale.

L’esplicitazione di tali indici consentirebbe una ragionevole uniformità nell’accertamento giudiziale, contribuendo fra l’altro a sterilizzare la pericolosa tendenza alla perversa logica del senno del poi, sempre più frequente anche in questa area della colpa. Un intervento ragionevole, in definitiva, che troverebbe piena giustificazione nella peculiarità dell’attività sanitaria, che non appare, in questa fase storica, comparabile con altre attività professionali, prive di analogo significato sociale per la salute collettiva e non implicanti così frequenti rischi e responsabilità.

Cristiano Cupelli
professore di Diritto penale Università di Roma Tor Vergata

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