La corsa contro la variante Delta

Luciano Capone e Giovanni Rodriquez

Quella contro la  variante indiana, molto più contagiosa, è una corsa contro il tempo che necessita di un cambio di strategia vaccinale. Bisogna subito raggiungere 2,8 milioni di anziani che non sono stati vaccinati e proteggerli quanto prima con due dosi. Per questo sarebbe più opportuno usare per gli over 60 i vaccini Pfizer e Moderna anziché AstraZeneca  

“A oggi, nell’Unione europea più di metà della popolazione adulta ha ricevuto almeno una dose di vaccino. In Italia la quota è quasi del 60% e circa il 30% della popolazione adulta ha completato l’intero ciclo di vaccinazione”. Così ieri il presidente del Consiglio Mario Draghi, nell’informativa in Parlamento in vista del Consiglio europeo, ha fatto il punto sulla campagna vaccinale. La priorità resta, quindi, sempre la stessa: “Dobbiamo continuare a concentrarci sui soggetti più fragili, come i più anziani, che sono maggiormente a rischio di morte o di ospedalizzazione”, ha precisato il presidente del Consiglio.

 

Dall’ultimo report sulle vaccinazioni del governo sappiamo che 2,8 milioni di over 60 non hanno ancora ricevuto una dose. Per raggiungerli, il commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo si è affidato alla rete dei medici di famiglia e delle farmacie. Visto il rapido avanzare della variante Delta, molto più contagiosa e pericolosa, si tratta di una corsa contro il virus e contro il tempo, che necessita probabilmente anche di un cambio di strategia. A partire proprio dai vaccini da utilizzare. L’ultima circolare del ministero della Salute ha sospeso l’utilizzo del vaccino AstraZeneca per i più giovani, limitandone l’uso in via esclusiva per la fascia d’età sopra i 60 anni. Ed ecco il primo ostacolo. Difficilmente chi già ieri era riluttante a vaccinarsi contro il Covid in generale deciderà di farsi somministrare quello di AstraZeneca, sia per via della forte eco mediatica riservata ai potenziali effetti collaterali rari registrati sia per la confusione ingenerata dal governo e dall’Aifa con il continuo cambio di indicazioni per le fasce d’età alle quali destinare questo prodotto. Proprio ieri, tra l’altro, la stessa Agenzia del farmaco ha inviato una nuova nota informativa agli operatori sanitari sui punti emersi dalla valutazione del rischio di insorgenza di sindrome da perdita capillare dopo vaccinazione con AstraZeneca. Dopo tutta la pessima pubblicità fatta a un ottimo vaccino, pensare di poterlo usare per vaccinare le persone più riluttanti potrebbe non essere la strategia migliore.

 

Altro elemento da prendere in considerazione riguarda poi l’efficacia e le tempistiche di somministrazione della seconda dose. Dai dati britannici pubblicati dal Public Health England, sappiamo che tutti i vaccini sono molto buoni contro la temibile variante Delta: l’efficacia nel prevenire le ospedalizzazioni dopo la seconda dose è del 96% Pfizer-BioNTech e del 92% per Oxford-AstraZeneca. C’è però una differenza che, come ha scritto ieri sul Foglio Enrico Bucci, riguarda la prima dose: i dati britannici con la variante Delta mostrano che una dose è il 17% meno efficace nel prevenire l’infezione sintomatica e che la singola dose di AstraZeneca è, seppur di poco, meno efficace di quella Pfizer (il 30% contro il 36%). La marginale minore efficacia non è un problema in sé, ma si somma a quello dei tempi di somministrazione per la seconda dose.

 

Nel caso di AstraZeneca, infatti, tra prima e seconda somministrazione intercorrono circa tre mesi. Un tempo lunghissimo che esporrebbe queste persone, le più fragili, a rischi che non esistevano fino a qualche mese fa. Ciò che sta accadendo in queste settimane nel Regno Unito, dove sono in aumento i contagi di persone vaccinate con un una sola dose, dovrebbe far scattare un campanello d’allarme. Sappiamo che la variante Delta, 60% più contagiosa di quella inglese a sua volta più contagiosa del virus di Wuhan, si sta propagando velocemente in Europa. In poche settimane la variante Delta diventerà dominante anche in Italia. In questo contesto, far attendere tre mesi per il richiamo gli over 60, ovvero la fascia d’età più a rischio, è qualcosa da evitare. Non a caso nei giorni scorsi Marco Cavaleri, responsabile Vaccini contro il Covid dell’Ema, ha spiegato: “Visto che la protezione con la prima dose è bassa nei confronti della variante Alfa (inglese, ndr) che vediamo circolare in Europa, sarebbe importante che l’intervallo tra le due dosi sia accorciato”. A maggior ragione il discorso vale per la variante Delta.

 

Se l’obiettivo del governo è, giustamente, quello di proteggere i più fragili, serve necessariamente un cambio strategico nell’uso dei vaccini: da un lato ridurre i tempi per la seconda dose di AstraZeneca (per chi ha già fatto la prima dose) propendendo per l’attesa minima di 4 settimane; dall’altro usare per gli over 60 prioritariamente i vaccini a mRna (Pfizer e Moderna) che mostrano una maggiore efficacia e tempi più stretti per il richiamo (3 settimane). Questo significherebbe forse mettere definitivamente da parte un ottimo vaccino come quello di AstraZeneca, ma è l’inevitabile conseguenza di scelte affrettate e confuse.

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