cattivi scienziati

Un virus a incastro

Enrico Bucci

La “variante inglese” e le altre: è la proteina spike che cerca di agganciarsi al bersaglio ACE2

    Quando ci guardiamo intorno, siamo abituati, tramite i nostri occhi, a interagire con un panorama fatto di oggetti tridimensionali, di luci, colori e suoni che colpiscono i nostri sensi e sono istantaneamente decodificati dal nostro cervello. Questa informazione è poi utilizzata per interagire con quel che ci circonda, spesso per mezzo delle mani o attraverso qualche protesi tecnologica che ci permette di cambiare la posizione e modificare altre proprietà di ciò che attrae la nostra attenzione e i nostri sforzi, allo scopo di esplorare la realtà o di raggiungere un fine preordinato che ci siamo posti. Questo è il nostro mondo fisico, e in questo ci muoviamo.

       

    Le cose però, a una scala spaziale molto diversa, sono incredibilmente diverse da quelle che siamo abituati a sperimentare di persona. Alla scala dimensionale dei virus, i nostri sensi non solo non esistono, ma non sarebbero nemmeno in grado di estrarre informazioni utili, perché a quella scala le proprietà del mondo fisico sono completamente diverse da quelle che siamo abituati a conoscere.

      

    E’ un mondo in cui sono la chimica e la fisica di singole molecole a dominare la scena; ed è un mondo che può essere esplorato e “manipolato” solo attraverso interazione diretta fra le molecole componenti di un certo organismo, come il virus, e molecole “ambientali” (quali quelle del liquido in cui il virus è immerso) o molecole di altri organismi, quali quelle sulla superficie delle cellule che ci compongono.

       

    La possibilità per un virus di “agganciare” la cellula umana giusta in cui replicarsi, in un ambiente che assomiglia a un uragano di inimmaginabile potenza, causato dai moti termici del solvente in cui il virus è immerso o da quelli dell’aria quando è trasportato da un ospite a un altro, dipende dal possedere le molecole che abbiano la forma giusta per incastrarsi perfettamente su quelle presenti alla superficie delle cellule bersaglio. Non solo la forma, ma anche una distribuzione di carica – positiva e negativa, come per un piccolo magnete – perfettamente complementare a quella del bersaglio. Insieme, carica e forma determinano quanto efficientemente e saldamente il virus riuscirà ad agganciare il bersaglio giusto, a dispetto di moti termici che alla nostra scala sarebbero equivalenti a venti capaci di trasportarci in pochi secondi sulla luna. La molecola virale che deve avere le proprietà giuste è la proteina spike, e ACE2 è la proteina delle nostre cellule cui essa deve adattarsi tridimensionalmente e per carica nel modo migliore possibile.

        

    Ogni più piccolo miglioramento della capacità della proteina spike di legare il proprio bersaglio significa una chance maggiore di agganciare la cellula utile a replicarsi, nei continui “viaggi interplanetari” che i virus fanno ogni secondo, in balia della terribile tempesta termica che agita il mondo alla loro scala.

      

    I virus, tuttavia, non hanno cervello o volontà, non possono cioè “adattarsi” intenzionalmente. Tuttavia, i virus, replicandosi con numerose variazioni del loro genoma a ogni generazione, di fatto producono un numero pressoché infinito di varianti anche della proteina spike (oltre che del resto del virus); e fra tutte queste varianti, alla prova dei fatti, poche saranno in grado di agganciare il proprio bersaglio ACE2 un po’ meglio delle altre in circolazione. Questo processo, che noi chiamiamo mutazione e selezione, è quello che produce di continuo nuove popolazioni di virus con mutazioni rispetto ai loro progenitori in grado di conferire un piccolo, magari anche temporaneo vantaggio nella gara per “atterrare sulla luna durante un uragano”.

      

    Questo, dunque, è quello che ha per esempio prodotto ciò che impropriamente si continua a chiamare la “variante inglese” (con almeno otto mutazioni nella proteina spike), ma anche una variante in Sudafrica e una in Malesia, solo per citare gli ultimi due casi riportati dai giornali nella giornata di ieri. Tutte queste varianti, quando si incontrano, vedranno la prevalenza del mutante migliore (se ce n’è uno), del “più fortunato” (per motivi stocastici negli eventi di trasmissione”) o coesisteranno e genereranno anche incroci o anche si estingueranno (come è già avvenuto per la maggior parte delle varianti presenti a gennaio 2020).

       

    Ecco quindi perché, se facciamo abbastanza sequenziamento, troveremo sempre nuove varianti: questo è Darwin, e questo significa “quasi-specie” virale. Abituiamoci, perché che noi ce ne accorgiamo o no, questo virus e tutti gli altri continueranno velocissimamente a mutare, variando di continuo il panorama dei genomi virali con cui la nostra specie deve confrontarsi. E per inseguire questo processo, adattandoci a una velocità almeno paragonabile, non c’è che una via: l’evoluzione culturale, ovvero lo sforzo continuo della ricerca scientifica di tirarci fuori dai guai.