L'ingiustificata acredine contro podisti e ciclisti senza mascherina

Giovanni Battistuzzi

L'Italia è il quinto paese in Europa per inattività fisica dei suoi abitanti. Un'immobilità che ha costi sociali altissimi. Eppure ora sembra che il problema per la salute pubblica sia quella minoranza di persone che fa jogging o pedala

L’obbligo di indossare la mascherina anche all’aperto ha trasformato ottobre in marzo, è riuscito a riportare a galla mai superate idiosincrasie nei confronti di quelli che allora vennero chiamati sui social “i paraculati del governo”. Ciclisti e podisti sono di nuovo le due categorie di persone attorno alle quali si riversa l’acredine di chi li considera privilegiati e vorrebbe che l’obbligo fosse esteso a chiunque, qualsiasi cosa stia facendo: il totalitarismo del mal comune.

 

Perché per passeggiare devo avere addosso la mascherina mentre chi corre o va in bicicletta può non mettersela?, si chiedono in preda a una grossolana invidia in molti, pronti a puntare il dito contro ciclisti e podisti a loro occhi possibili untori in quanto persone che hanno la possibilità di muoversi senza dispositivo di protezione individuale. Un atteggiamento questo che crea un problema dove problema non c’è.

 

L’Italia è il quinto paese in Europa per numero di persone fisicamente inattive. Solo il 24,4 per cento della popolazione pratica uno sport in modo continuativo e il 9,9 per cento in modo saltuario. Peggio di noi solo la Romania, il Portogallo, la Grecia e la Bulgaria. Ad uscire a correre almeno due volte la settimana sono poi solo sei milioni scarsi di persone, meno del dieci per cento della popolazione italiana. Ancora meno sono le persone che si muovono regolarmente in bicicletta. Nel 2018 i ciclisti urbani erano il 3,6 per cento della popolazione, un numero cresciuto di poco dopo la fine del lockdown. Un'inabitudine al movimento così radicata da non far comprendere a molti l'estrema difficoltà di utilizzo della mascherina per chi corre o pedala.

 

Credere che numeri del genere siano un problema per la salute generale dell’Italia è giusto. Ma non per la diffusione del contagio. A preoccupare dovrebbe essere l’incidenza di malattie cardiovascolari, il maggior rischio di infarti, ictus e patologie legate all’obesità. Secondo uno studio del Centre for Economics and Business Research (Cebr) l’attuale livello di inattività fisica degli italiani genera al nostro paese un costo economico di oltre 12,1 miliardi di euro all’anno, ossia quasi il nove per cento della spesa sanitaria italiana pre-Covid, causando un danno all’economia di circa 9 miliardi di euro annui tra costi diretti e indiretti. Solo riducendo di un quinto il livello di sedentarietà della popolazione ci permetterebbe di risparmiare 2,4 miliardi di euro all’anno.

  

Le critiche di questi giorni contro podisti e ciclisti è l’ennesima tentativo di ribaltare un problema che esiste, l’inattività fisica delle persone, denunciandone uno che non c’è. Soprattutto considerando che il 65 per cento dei podisti corre in zone a bassissima densità di persone (parchi, giardini, aree verdi, campagne ecc.) e i ciclisti, sono per il fatto di pedalare in strade aperte al pubblico e non sui marciapiedi, dovrebbero avere garantiti quel metro e mezzo di distanza dalle automobili che significa poter portare a casa la pelle e non dover rischiare di cadere o essere presi sotto. 

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