Charlie Chaplin ne “Il monello”, film muto del 1921

Debole sarà lui

Roberto Volpi

Difetti congeniti, mortalità infantile, calvizie, propensione al suicidio. Tutta colpa del cromosoma Y, che fa il maschio e un poco lo distrugge

I maschi sono in continuo mutamento, nelle specie. E’ tutta colpa dell’irrequietezza di chi deve correre incessantemente dietro femmine in fuga anche quando non fanno altro che aspettare, disponibili solo all’apparenza per il migliore il più forte il più bello il più gradito il più carogna, fate voi ce n’è per tutti i gusti, in natura e pure all’interno della nostra stessa specie di homo sapiens. Strano destino, il nostro di maschi, racchiuso nella struttura molecolare del Dna. I due sessi hanno in comune 22 cromosomi, ma mentre le femmine hanno due grandi cromosomi a forma di X il maschio ne ha solo uno, più un altro cromosoma, il ventitreesimo, di più modeste dimensioni a forma di Y zeppo di parassiti e parti superflue, metafora di chi ce l’ha, il più parassitato, vacuo e inconsistente di tutti. L’Y, la struttura fondante del maschio, è un crogiuolo di parti quasi al gran completo inutili e corrotte che però, anche così conciato consente all’embrione di… sviluppare i testicoli e il testosterone. Mica poco, anche se c’è chi pensa che in quel benedetto cromosoma Y si annidi poco più di una spiccata propensione del maschio rispetto alla femmina a sviluppare calvizie, tumori e tendenze suicidarie. Senza che, peraltro, ci sia la possibilità di sfuggire al circolo vizioso cui esso dà luogo per il solo fatto di essere, a suo modo, uno scapolo irrecuperabile: l’unico cromosoma solo soletto, senza un corrispondente dall’altra parte, nell’altro sesso.

 

Il cromosoma Y non partecipa
al grande scambio genetico ricombinatorio che si ha nella riproduzione. Rimane in disparte

Spermatozoi e ovuli contengono solo metà del corredo cromosomico della persona che li ha generati e, nella ricombinazione conseguente all’accoppiamento, accade che il bambino erediti da questo come dall’altro genitore, certi geni dalla madre certi altri dal padre. Si tratta di un “rimescolamento” dal quale i geni traggono benefici perché uno scompenso in uno, una fiacchezza, un’imperfezione può essere compensato dall’altro. Diversamente il cromosoma Y fa storia a sé, è una repubblica chiusa che non partecipa al grande scambio genetico ricombinatorio che si ha nella riproduzione, se ne rimane in disparte mentre le generazioni si susseguono, ogni generazione la sua identità che, se non all’altezza, si trascina sotto il peso di una innata debolezza che non può essere compensata dall’Y femminile, che non c’è. Dovrebbe sposarsi, il nostro Y, ma ha un destino di celibato forever inscritto nella sua unicità. E questo fatto, così evidente ora che la storia volge sempre meno in direzione della forza bruta, non ci agevola affatto, noi maschi, tutt’altro, non fa che andare a tutto nostro svantaggio. Meglio prenderne atto.

 

La migliore aderenza femminile alla vita si mostra da subito, da prima della nascita, nel feto. Tra i gemelli monozigoti sono più frequenti le femmine dei maschi perché questi ultimi faticano di più a stare assieme, comodi, nell’utero. Ma sono ben altri gli svantaggi che contano. Si prendano i difetti congeniti. E si prenda, per esaminarli dal punto di vista del sesso, un registro, quello della Toscana, ch’è di grande accuratezza e qualità dei dati, il migliore della mezza dozzina di registri italiani di questo tipo e tra i migliori d’Europa. Ebbene, nel quinquennio 2011-2015 (ultimo anno di cui si hanno a disposizione i dati) si sono verificati in Toscana 1.366 casi di difetti congeniti di feti di sesso femminile e ben 2.000 casi di feti di sesso maschile, per un sovrappiù dei feti maschili diciamo così difettosi del 46,5 per cento rispetto a quelli femminili: di 5 feti che presentano difetti congeniti 3 sono di sesso maschile, 2 di sesso femminile. Trattasi di un rapporto, questo tra feti maschili e feti femminili con difetti congeniti, che (a) non si inverte mai da un anno all’altro, in quanto non c’è un solo anno da quando esiste questo registro in cui si sia verificata una prevalenza femminile anziché maschile (b) non scende mai sotto il 30 per cento in più dei maschi rispetto alle femmine e non raramente supera il 60 per cento.

 

Insomma, non siamo di fronte a un fenomeno contingente ma strutturale e sistematico, uno di quei fenomeni che, a saperli leggere, dicono già tutto, parlano un linguaggio ch’è praticamente impossibile non intendere: le femmine sono già dal concepimento meglio attrezzate per la vita di quanto non lo siano i maschi. Una forbice che non smetterà mai di operare e manifestarsi.

 

Già dal concepimento, le femmine sono meglio attrezzate per la vita. Una differenza che non smetterà
mai di manifestarsi

Ancora oggi c’è chi interpreta il minor peso dei neonati di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile come un indice di maggiore fragilità alla nascita delle femmine rispetto ai maschi e di una loro minore capacità di reggere al primo impatto con la vita. E’ vero esattamente il contrario. Si tratta, come già per i difetti congeniti, di confronti impietosi. Nel quinquennio 2010-2014 (ultimo anno per il quale si hanno a disposizione i dati nazionali) sono morti nel primo anno di vita, in Italia, 3.534 bambini di sesso femminile contro 4.454 bambini di sesso maschile: 920 morti maschi in più, il 26 per cento di morti maschili in più nel primo anno di vita. Il divario è minore rispetto a quello dei difetti congeniti, ma di ben maggiore spessore, né si deve dimenticare che soltanto un’esigua proporzione di difetti congeniti è di gravità tale da portare a una morte precoce entro il primo anno di vita. E tuttavia, come succede per i difetti congeniti, è pur sempre un divario che non si inverte mai a sfavore delle femmine e che oscilla tra il 20 e il 35 per cento in più dei maschi sulle femmine da un anno all’altro. Di nuovo una sproporzione non contingente ma sistematica e strutturale.

 

Il migliore adattamento alla vita delle femmine rispetto ai maschi è un carattere che dal concepimento si trasferisce nella nascita, percorre il primo anno di vita, il più pericoloso per il bambino, si estende all’infanzia e a maggior ragione all’adolescenza, quando il divario di mortalità dei maschi rispetto alle coetanee femmine diventa letteralmente un baratro per l’apparire sulla scena, oltre alle malattie, e ancor più decisive di esse nel determinare la morte a quelle età giovanili, di incidenti e traumatismi. Nel 2014, tra il primo e il 14esimo anno di vita compiuti, periodo in cui sono le malattie pressoché le sole responsabili delle pochissime morti di questa età, sono morte in Italia 208 femmine e 289 maschi, con una super mortalità maschile che pur raggiungendo il 40 per cento non è però nulla rispetto a quella che si verifica nei quindici anni tra il 15esimo e il 29esimo anno di vita, classe di età in cui sono morti, sempre nel 2014, 1.770 maschi a fronte di 612 femmine, un numero di morti maschi di quasi tre volte superiore a quello delle femmine.

 

Prima chiamato a produrre testosterone, sperma e tutt'altro
che secondariamente figli,
oggi il cromosoma Y si sente inutile

Ma un conto sono le malattie, si dirà, e un altro gli incidenti, i traumatismi, i morti sulle strade, per annegamento e avvelenamento, gli omicidi e i suicidi. Altra cosa, indubbiamente, ma come si fa a dire che non c’entra la componente genetica rappresentata dal piccolo cromosoma Y maschile nella spiccata propensione maschile a mettersi nei guai, ficcarsi nei pericoli, sfidare, se non proprio inventarsi, i rischi e cedere alle delusioni? Il suicidio, poi, è quasi una cartina di tornasole: i maschi lo fanno, le femmine lo rappresentano. Maggiore propensione a suicidarsi da parte maschile (2014: 3.138 suicidi maschili contro 917 femminili), tanto quant’è maggiore la propensione a tentare di suicidarsi, senza però riuscirci, da parte femminile. Fatevi i vostri conti e capirete che non c’è verso, il cromosoma Y gioca a tutto svantaggio del maschio.

 

Si comincia con i capelli e si finisce con la speranza di vita, passando attraverso il testosterone. Già, perché sembra che i calvi – e quanti calvi tra i potenti della storia – godano maggiormente del dono della virilità, mentre la guerra farmacologica contro la calvizie inibisce l’enzima che potenzia il testosterone per cui quel che si guadagna in capelli si perde in virilità. Ma chissà. E però il rapporto di cento calvi maschi per una femmina calva altrettanto resta in tutto il suo, per i maschi, drammatico squilibrio grazie al dispettoso intervento del sempre presente, in queste faccende, cromosoma Y. Il cui rovinoso apporto – riproduzione a parte, ma vedremo che le cose pencolano anche a quest’ultimo riguardo – si sta esprimendo in Italia dagli anni Venti del precedente secolo in un sistematico minor aumento della speranza di vita che ha permesso alle femmine di raggiungere una vita media di 3,5 anni più alta di quella dei maschi trent’anni dopo, nella prima metà degli anni Cinquanta, lievitati fin quasi a 7 anni in più trent’anni ancora dopo, per poi ridursi a meno di 5 anni negli ultimissimi anni. Almeno questa contrazione del divario opera del cromosoma Y? Non sembrerebbe. La più intensa vita sociale e di relazione delle donne, gli stili di vita e di lavoro sempre più analoghi nei due sessi tendono a ridurre divari nella speranza di vita tra i sessi che avevano raggiunto vette (7 anni, appunto) che neppure la mediocrità cromosomica dell’Y poteva giustificare appieno. Ed è comunque grazie alla minore mortalità, che le femmine recuperano il fatto di nascere nella proporzione, ogni 100 nati, di 48,5 contro 51,5 maschi. In Italia al primo gennaio 2017 gli abitanti di 0-9 anni sono 2.739 mila maschi e 2.587 mila femmine, quelli di 40-49 anni 4.760 mila maschi e 4.825 mila femmine, le femmine cominciano a diventare sempre più numerose dei maschi proprio dal quinto decennio di vita e raggiungono il massimo squilibrio a loro favore nelle età estreme. Sembra proprio che madre natura si impegni a contenere il livello delle nascite femminili sistematicamente sotto quello delle nascite maschili per non aggravare uno squilibrio tra i sessi che la maggiore mortalità maschile produrrà largamente per proprio conto.

 

Il suicidio come cartina di tornasole: i maschi lo fanno, le femmine lo rappresentano. La mediocrità spermatica occidentale

E veniamo al conquibus riproduttivo. E’ tutto un lamentio, nel mondo occidentale, sul venir meno della quantità e della qualità dello sperma. C’è chi si è provato a calcolare in 50-55 miliardi i rapporti sessuali l’anno, per 200-220 mila miliardi di spermatozoi prodotti ogni giorno. Difficile dire che siano pochi, semmai mal prodotti o ancor più puntualmente mal distribuiti o, ancora, troppo poco utilizzati nello scopo riproduttivo – almeno nel mondo occidentale. E comunque, quando sono a mal partito con le spiegazioni la scienza e gli scienziati non disdegnano di rifugiarsi in corner. Il corner dello sperma prodotto in minori quantità medie e di minore qualità è rappresentato dall’inquinamento, magari abbinato al vivere nevrotico dei maschi di questa parte di mondo ch’è l’occidente, non solo europeo. Sarà, ma non si vede cosa di meglio, sotto questi aspetti, possano mai vantare, rispetto mettiamo a Berlino e Milano, a Parigi e Londra, Karachi (17 milioni di abitanti) e Dhaka (18 milioni), capitale del Bangladesh, in Asia, Lagos (13 milioni) e Kinshasa (12 milioni), capitale del Congo, in Africa, per citare solo alcune megacities che per affollamento, disorganizzazione urbanistica, precarie condizioni igieniche, abissali diseguaglianze sociali e abitative e ovviamente inquinamento urbano/ambientale viaggiano a livelli stratosferici, con però altrettanto stratosferica, almeno a stare alla natalità, produzione di gagliardi spermatozoi.

 

Metterla sull’inquinamento, la nevrosi e compagnia cantante per spiegare la mediocrità spermatica occidentale che si specchia nell’analoga mediocrità della fecondità e delle nascite è sviare il problema. Il cromosoma Y, si è visto, è scapolo e mal combinato, e come tale facile ad adombrarsi, se non proprio a deprimersi. In occidente, nel ricco occidente, nelle ricche città occidentali, non è che si senta stressato o indebolito dalle polveri sottili, slavato dalle piogge acide e cose così, comincia piuttosto a sentirsi inutile, messo da parte, sottovalutato, è per questo che le sue già scarse caratteristiche migliori ripiegano, che le sue prestazioni scadono. Prima chiamato a produrre testosterone, sperma e tutt’altro che secondariamente figli nel matrimonio e nelle coppie comunque contrassegnate da una ricerca di stabilità, oggi proprio nel matrimonio e nelle coppie stabili chiamato a contenersi al massimo grado nella sua funzione riproduttiva e, anzi, soggetto a essere in questa funzione sostituito come un qualsiasi giocatore domenicale qualora non mostri di valere quel che ci si aspetta da lui, il cromosoma Y comincia a chiudersi dispettosamente in sé stesso per lasciare noi maschi a noi stessi. Non vogliamo figli? se non proprio quelli strettamente necessari a non turbare gli equilibri e le prospettive future di famiglie e coppie? E allora non è che proprio ci sia tutto questo bisogno della sua opera, si converrà. Basterà il minimo sindacale. E magari pure meno, ove si pensi che, se putacaso sopravvenissero difficoltà riproduttive, problemi di sterilità, si può sempre vedere di potenziare lo sperma per via ormonale con la procreazione medicalmente assistita o ricorrere a uno sperma migliore, pur se estraneo alla coppia, e dunque di provenienza di un altro Y, per cercare di fecondare l’ovulo femminile, con la procreazione eterologa. Non c’è vincolo di mandato neppure per l’Y e il suo sperma, in certo senso. Quel poco ch’è chiamato a fare, riproduttivamente parlando, potrà farlo qualche altro Y con sperma incorporato al suo posto. Ma se lo sperma serve alla riproduzione e la riproduzione è pochissimo richiesta e perfino surrogabile, se del caso, cosa mai si può rimproverare al pur ombroso, e scomodo, e penalizzante Y se ha cominciato a tirare i remi in barca lasciandoci nelle secche? E se è perfino tutto un tentare, nelle nostre società occidentali con la fissa di essere à la page, iper laiche e anticonvenzionali, di cancellare i vocaboli babbo e mamma e maschio e femmina da atti, registri e dizionari, come si può pretendere che il dispettoso, l’incarognito, e poco facente Y non ci mandi tutti a quel paese incrociando le braccia e festa finita?

Di più su questi argomenti: