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roma capoccia

Il jazz fuori nicchia dell'Alexanderplatz

Gianluca Roselli

Eugenio Rubei racconta la rinascita del jazz nella Capitale: pubblico più giovane, sale piene e una programmazione che porta la musica fuori dalla nicchia, dalle scuole alle periferie, senza perdere il fascino dei piccoli club

“Il jazz a Roma sta vivendo una nuova stagione d’oro, perché sta uscendo dalla sua nicchia. Nelle serate e ai concerti si vedono tante facce nuove, molti giovani, oltre ai soliti appassionati. Potremmo dire che sta cambiando pelle, sta ringiovanendo. Adesso però bisogna andare avanti, non tornare indietro”. A parlare è Eugenio Rubei, patron dell’Alexanderplatz, la colonna dei locali jazz capitolini con i suoi 42 anni di attività. Un posto che ancora oggi conserva tutto il suo fascino. C’è quella porticina, in via Ostia (zona Prati), che quasi non si vede, si scendono le scale e ci si ritrova immersi in un locale pieno di anfratti e di note, con tavoli che stanno quasi sul palco e la musica vissuta a contatto con gli artisti, che nelle pause vanno a farsi una birra al bancone del bar. C’è chi beve, chi spizzica qualcosa e chi si concede una vera e propria cena: il pubblico fa parte a pieno titolo della scenografia.

Il mondo del jazz ha due universi: ci sono i teatri e gli auditorium, dove si sta seduti in platea, e poi ci sono i locali, sempre meno numerosi (a Milano hanno chiuso da molto tempo Le Scimmie e il Capolinea), che sono carne e sangue del jazz, dove si sta stretti in tavoli a ridosso degli artisti. Un tempo si fumava e si chiacchierava, ora non si fuma più e si parla piano. “Io vivo entrambe le situazioni. Oltre all’Alexanderplatz, sono stato direttore artistico della Casa del Jazz e organizzo festival come quello di Montalcino (Jazz&Wine), giunto alla 28esima edizione. Ascoltare jazz a teatro è magnifico, ma andare in un locale ha un altro fascino”, racconta Eugenio Rubei.

Il fondatore dell’Alexanderplatz è suo padre, Giampiero Rubei, scomparso nel 2015, personaggio mitologico e letterario: ex segretario della sezione del Msi di Monteverde, ideatore dei Campi Hobbit, è stato un vero intellettuale di destra, idealista, sentimentale, libertario e coltissimo, di grande empatia, che ha fatto diventare il locale di Via Ostia in uno dei più conosciuti al mondo. Eugenio ne ha preso le redini ed è reduce dai successi dell’estate romana: il suo Jazz&Image al parco del Celio ha registrato circa 130 mila presenze: un record. E ora si appresta a questa nuova stagione invernale, in cui vuole mescolare grandi nomi del panorama internazionale ai migliori talenti italiani emergenti. I cultori del jazz non sono facili: sono colti, di un certo livello sociale, eleganti, pretenziosi, snob, ma di grande umanità. “Questa è la nostra ricchezza ma anche un limite, perché magari non riesci a uscire da quel recinto dorato, che però sempre recinto è. Con l’Alexanderplatz abbiamo portato il jazz fuori dal suo ambiente, con concerti nelle scuole, università, musei, ospedali, carceri, nelle periferie difficili. Per esempio, abbiamo fatto Tor Bella Monk. E i risultati si vedono: alla rassegna estiva (che un tempo si faceva a Villa Celimontana) la platea era composta soprattutto da giovani”, spiega Rubei. Ma come si contrasta l’effetto nicchia? “Presentando un’offerta di qualità e spessore, scelta con competenza e passione, che tenga conto delle varie tendenze e fuori da certi “amichettismi”. E con una politica intelligente sui costi. Se per un concerto si spendono 50 o 60 euro, la nicchia la fai per forza. Noi quest’anno proponiamo una tessera a 10 euro per tutta la stagione”, afferma Rubei.

Martedì e mercoledì c’è stato uno dei big del jazz italiano, Enrico Pieranunzi. A marzo arriverà una stella mondiale, il sassofonista americano Jimmy Greene. Tra i giovani italiani, suoneranno Giovanni Benvenuti e Marco Guidolotti. A novembre si potranno ascoltare Maurizio Giammarco (stasera), Jim Porto, Sarah Jane Morris, Marco Valeri, Francesco Bruno, Alex Sipiagin. Qui, del resto, sono passati tutti: Chet Baker, Chick Corea, Wynton Marsalis, Tony Scott, Michel Petrucciani e moltissimi altri. “Negli ultimi anni la presenza media di pubblico durante la settimana è aumentata del 20-30 per cento. Non si può avere il locale sold out tutte le sere, ma non ci possiamo lamentare”, fa notare Rubei. E poi con l’inverno il jazz ci sta a pennello: cosa c’è di meglio in una serata fredda e piovosa che scendere all’Alexanderplatz per farsi scaldare il cuore da un bicchiere di vino e da un trio pianoforte, basso e batteria?

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