Il caso
Davanti alla questura in tenda, scene da terzo mondo per un permesso
Centinaia in fila davanti l'ufficio immigrazione tra coperte e cartoni, e a torino è arrivata la sentenza sulle code "discriminatorie". La questura di Roma invece rivendica i numeri: 700 accessi al giorno oltre a 360 appuntamenti; in totale 20mila pratiche evase tra ottobre e novembre
Sembrano gli indignados con le tende a Caracalla nel 2011, ma non lo sono. Sono gli “attendisti” dell’Ufficio immigrazione in via Politi: persone che aspettano senza sapere quando verrà concesso loro un turno per entrare. Man mano che la notte avanza, le file si allungano. Aspettano al freddo per ore o giorni, senza potersi lavare o riparare. Si dividono in due file: a destra per il rinnovo del permesso di soggiorno, a sinistra quella per la richiesta di asilo politico. Tutti con il passaporto in mano o in tasca.
Tecnicamente, la prenotazione online esiste, ma a Roma non copre tutte le pratiche. La formalizzazione dell’asilo politico, per esempio, è solo in presenza. Senza possibilità di prenotarsi. I rinnovi del permesso passano invece dal kit postale, con convocazione fissata dalla questura. Ma la scarsità di slot spinge molti ad arrivare con largo anticipo. Si forma così un imbuto: tanti in fila, e solo pochi che riescono a passare.
Se si parla con loro non sono indignati, ma stanchi. Restano però educati – come confermano gli agenti all’ingresso – e autogestiti. Al primo della fila viene data una lista, sulla quale chi arriva si “registra”. Ma non ha valore legale: è la polizia, la mattina, a decidere chi entra. Spesso la Croce Rossa porta i pasti, ma non questa sera. Così compaiono gli amici degli “attendisti” che portano qualche cosa di caldo.
La fila per richiedere l’asilo ricorda una vera baraccopoli. Le decine di persone rinchiuse nelle coperte si confondono tra i teloni usati come tetto e i cartoni come pavimento. Emerge dal suo bozzolo di stoffa Ali, forse stufo di essere disturbato dalle tante domande e dalle poche risposte. D’altronde lui dorme lì questa notte, meglio andare subito dritti al punto. “Sono qui in attesa da ieri alle 16. Forse domani entro”. Che fai nella vita? “Studio ingegneria dei trasporti in magistrale alla Sapienza”. Ma allora perché sei in fila per l’asilo? “Sono persiano e sono un’attivista contro il regime islamico, per il quale mio padre lavora. Mi hanno minacciato, mi hanno detto che sanno dove sono. Ora ho paura e voglio passare dal permesso per studenti all’asilo politico, devo tutelarmi”. Ali racconta che oggi ha visto una coppia di ucraini entrare. Erano nella sua stessa fila, quella di chi chiede l’asilo. Non sa per quanti giorni hanno aspettato.
Accanto a lui ci sono due fratelli peruviani, in Italia da due anni. Avete un permesso per stare in Italia? “No, estamos como illegales. Siamo qui da due giorni: oggi ne sono entrati circa 40 su più di 70, domani dovremmo farcela”. Il più piccolo va al collegio, al liceo, ha 15 anni. Dice che a scuola non gli fanno problemi per i documenti. Il più grande, invece, lavora.
Sull’altro ciglio della strada c’è l’altra fila; sembra se la passino meglio. Chi deve solo rinnovare il permesso per tornare a lavorare non capisce il perché di tutta questa trafila. Quanto guadagnate?” “1.000, 1.200, 1.300 euro”. Rispondono che molti hanno un contratto e altri no. Raju dal Bangladesh e Wijndra dallo Sri Lanka dicono che sono in Italia da due anni e lavorano nella ristorazione. Dopo di loro c’è un grande gruppo di sudamericani: Perù, Argentina, El Salvador. La maggior parte sono muratori, mentre Lucìa, di Buenos Aires, fa la baby sitter: “L’ultima volta sono entrata subito, ma stanotte dormirò qui. Anche quando fai domande non rispondono”.
Questo non è un fenomeno nato oggi. Inchieste e denunce raccontano code all’alba o notturne da anni, da Roma a Torino. Nel gennaio 2025 un cittadino romeno è stato trovato morto davanti all’ufficio in questione: per alcuni è stato il freddo, la questura ha parlato di un malore e ricordato che l’uomo era cittadino Ue e non doveva essere lì.
A Torino il tribunale civile ha condannato sia la questura sia il ministero per le code “discriminatorie” ai permessi e alle richieste d’asilo. Ne sono coscenti a Roma; qui però la situazione è differente, e ne sono orgogliosi. La questura fa sapere che a ottobre sono state evase 20 mila pratiche; quasi mille al giorno, di cui 360 tramite kit poste. Magari vanno in fila di notte per l’ansia o per mancanza di informazioni, dicono.
Roma Capoccia
Dal Colosseo al codice: la Silicon Valley riscrive Roma
Dal Meazza a Pietralata