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Roma Capoccia

La Filarmonica celebra Palestrina e inaugura la stagione 204

Mario Leone

Stasera alle 21 parte la nuova stagione: oltre due secoli di musica e di musicisti di primissimo livello. Un’inaugurazione che, però, vuole anche celebrare un altro personaggio legato all’Urbe: Giovanni Pierluigi da Palestrina

Quando si parla dell’Accademia Filarmonica Romana si evoca la storia di un’istituzione che, sin dalle origini, è centro degli scambi culturali e musicali di mezza Europa, capace di attrarre musicisti del calibro di Stravinskij, Pierre Boulez o direttori artistici come Alfredo Casella, Giovanni Sgambati, Goffredo Petrassi. La Filarmonica è sempre stata la casa musicale dei romani – agli inizi come oggi – e il Teatro Argentina continua a ospitare la sua stagione da camera.

 
Stasera alle ore 21 inizia la stagione numero 204: oltre due secoli di musica e di musicisti di primissimo livello. Un’inaugurazione che, però, vuole anche celebrare un altro personaggio legato all’Urbe: Giovanni Pierluigi da Palestrina, il Princeps Musicae, di cui ricorrono quest’anno i cinquecento anni dalla nascita.

 
Il segno della sua presenza è inciso ovunque, in una Roma che lo vide lavorare alla Cappella Giulia, alla Pia Lateranense, alla Basilica di San Giovanni, a Santa Maria Maggiore e in San Pietro. La “Scuola romana” – quella che riportò l’attenzione della musica sacra sulla parola e sulla liturgia, recuperando una sobrietà perduta – deve tutto a Palestrina. Non stupisce, dunque, che la Filarmonica “osi” alzare il sipario su una nuova stagione omaggiando il compositore con l’esecuzione del Cantico dei cantici, raccolta di ventinove mottetti a cinque voci, pubblicata nel 1584, uno dei vertici della polifonia rinascimentale. Il testo amoroso-dialogico del Cantico lo pone al confine fra sacro e profano: Palestrina lo trasfigura in chiave spirituale, interpretandolo come allegoria dell’amore tra Cristo e la Chiesa.


A “dialogare” con l’opera palestriniana, Il Cantico dei Cantici di Francesco Leineri, giovane compositore classe 1990, cui la Filarmonica ha commissionato un nuovo lavoro in prima esecuzione assoluta. La partitura di Leineri – anch’egli legato a Roma per formazione e sensibilità – guarda al lato più carnale dell’opera, a quel corpo in cui Dio stesso si è incarnato ma che è anche sede di pulsioni: “punto di partenza e di arrivo delle nostre vite”. Leineri utilizza sei lingue diverse, citando testi d’autore e inventandone di nuovi. La voce non è la sola protagonista (sul palco, l’Ensemble vocale De Labyrintho, diretto da Walter Testolin) poiché dialoga con la fisarmonica di Samuele Telari, il violoncello di Elide Sulsenti e lo stesso Leineri alle percussioni e all’elettronica. “Il tentativo non è di accostare due opere – dice il direttore Testolin – ma di farle maturare una dentro l’altra […] producendo un risultato coerente più che giustapposto”. 

 
La proposta è ardita ma suggestiva, perfettamente in linea con la storia della Filarmonica: anticipare i tempi, far dialogare gli opposti, punzecchiare gli animi (e le orecchie). Una rassegna che si rivolge ai giovani puntando ancora sul valore della complessità, del non immediato, e sull’attualità del passato, capace di confrontarsi e illuminare il presente.

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