Ansa
Roma Capoccia
Le 120 giornate di Roma. Un rito segreto nel cuore della città
Tra palazzi rinascimentali e luci soffuse, si consuma un rituale esclusivo che intreccia sesso e alienazione. Nella città che ha smarrito ogni centro, il piacere diventa routine e la solitudine un lusso condiviso
Se abbassi il tuo naso. Se abbassi il tuo naso fin quasi ad aderire alla superficie damascata del divano capisci il livello a cui ormai sei assuefatto. C’è un lucore sfarfallante d’arancio attorno, un silenzio liturgico interrotto dal singhiozzo degli smartphone e dalla eco lontana del mondo, del Rione Colonna, di questo reticolo centrale che si irradia come una metastasi di bellezza rinascimentale, palazzetti del potere e persiane socchiuse. Via dai club privé, lasciamoli replicare nel loro sonnolento e mercificato orizzonte periferico, via dagli annunci mercenari, perché non conta il denaro qui, non conta solo il denaro, almeno. E’, piuttosto, la capacità di poterti dire viva, di sentire qualcosa, è il rituale che prende il nome di gang bang, già epifania di Annabel Chong o di Bonnie Blue e romanzo di Chuck Palahniuk, circuito ristretto, elitario, aristocratico nel vero senso del termine, visto il luogo dove tutto si consuma.
C’è attesa, quasi divina, epifanie desolate di una solitudine che non passa, e di aspettative destinate a infrangersi lungo la dorsale dei quartieri periferici da cui provengono i partecipanti. “Non importa quanto lavori duro, o quanto diventi in gamba. Sarai sempre e soltanto ricordato per quell’unica scelta sbagliata” ha scritto Palahniuk in “Gang bang”, ed è così. Le scelte che pensiamo di aver fatto e che invece hanno fatto di noi ciò che siamo. Un sito internet. Le caratteristiche snocciolate e richieste. Fotografie da libro di anatomia ballardiana, discarica delle emozioni e della carne. Accordi, più o meno accurati, ma sempre frettolosi. Liturgia triste per una Roma rinchiusa a riccio nella propria alterità. Non si può cedere, non si può tentennare, non ci si può tirare indietro, non si può lasciar trasparire la propria reale personalità, i propri gusti; è una sfida, una arena gladiatoria in cui al posto della promessa di morte c’è, alla Bataille, l’orgasmo. Non uno. Molteplici. La quantità non sempre si sposa con la qualità, ma questa è una partita diversa. Uno sport diverso. Un universo intangibile e rugginoso.
Chi conosce chi, passaparola, valutazione, requisiti, le pacche sulle spalle, Roma allontanata fuori dal portone, come la tua vita. Lasciano assistere, mentre tutto si svolge, mentre ogni congiunzione si consuma, mentre fazzoletti e smozzicamenti di pessima cucina si sfaldano nel cucinotto: l’impressione è un eterno ritorno pornografico in cui il godimento è sostituito da una meccanica celeste, ninnolo rinascimentale d’oro e arazzi sulle pareti. Ci si interroga a volte, esaurita la conversazione, esaurite le possibilità, annoiati dalla giostra pornografica, persino sulle serrature e su quanto l’ombra se ne scenda sparata a causa di una illuminazione poco curata. Metafora di una bellezza imperfetta, in cui manca il dettaglio finale per poter essere goduta come si meriterebbe. Non ci sono traffico, Gualtieri, file all’anagrafe, strade dissestate, ritardi a lavoro, code sulla Salaria, borseggiatori sulla metro, qui dentro. Roma-in-assenza-di-Roma, senza quotidianità, in cui ogni ritmo, ogni odore, ogni momento finiscono per addensarsi come nebbia lungo le piste d’atterraggio di un aeroporto fantasma.
C’è la Roma villosa e palestrata delle periferie che sciama, dandosi convegno nel nome di una sola donna, c’è la Roma che ha abbattuto ogni differenza di genere senza doversi immergere nel lavacro dei diritti e dove ogni riconoscimento è determinato dall’ammonticchiarsi dei kleenex e dall’odore della lasagna sul buffet nell’altra stanza. Roma, forse, dorme, Roma è comunque indifferente, come gli sguardi bradi e bovini degli uomini presenti la cui furia laocoontica è messa alla prova da una geometria sadiana, non c’è alcuna complicità, solo una distesa di carnografia intessuta di sfida con sé. Una palestra di nichilismo e di esercizi ginnico-sessuali che disossa la tua solitudine, il tuo senso di inadeguatezza, mentre sono sopra di te, dietro di te, tutto attorno te, dentro di te – e tu continui a non sentire nulla. Come questa città. Chiusa, sorda, disfatta.