
Foto di Léonard Cotte su Unsplash
Roma Capoccia
Dentro la necropoli porno di Roma, tra riviste e fantasmi
Un archivio dimenticato dell’hard europeo nascosto in una mansarda di via Nomentana. Riviste, Vhs, polaroid e solitudini: l'anatomia di una Roma estinta
Quella disperazione. Quella specifica, desolante disperazione abbarbicata sulla sommità della scaletta metallica: scrostata, rugginosa, si inerpica nel fondo nero di una mansarda in cui tubolari neon e polvere danzano caoticamente. Fuori, tutto attorno, via Nomentana, il profilo austero del ministero dei Trasporti su cui serpeggia un tramonto di sangue, Porta Pia, monumenti, piccioni, gabbiani, ratti e barboni caracollanti che si incuneano nei sottopassi, colonizzandoli. Fa caldo. Un caldo umido, amplificato dal soffitto basso del loculo, muffoso e tufaceo come una caverna Maya a Grotte Celoni e da cui pendono cavi e fili disposti in una geometria priva di alcun senso razionale. Il tempo, qui, è solo una convenzione, un istante ininterrotto che si dipana come gomitolo di degenerazione e di solitudini e di derive esistenziali. Per arrivare alla scala, devi fendere la libreria, dove fumetti e volumi e riviste di seconda mano si impilano in torri di Babele di carta, saluti l’uomo pittoresco alla cassa e lui snocciola e sputa ossetti d’oliva e si schiarisce la voce e rimanda una flebile vocina mentre i suoi occhi sono appuntati sulle videocamere. Sopra, nel solustro bianchiccio, latteo, una scenografia di migliaia di riviste porno, di dvd, persino di videocassette, che sembravano esser state espunte dall’orizzonte della tecnica; una archeologia dell’hardcore, cataste scenograficamente composte e minuziosamente impilate, persino polaroid in cellophane, amatori annoiati che se le producono e le smerciano a beneficio di appassionati non meno disperati, tutti convogliati in questo centro per l’impiego di onanisti, sessuomani e vagabondi dell’esistenza ma senza Kerouac.
Fuori dal tempo, si diceva. In un’epoca che corre accelerata e impazzita, dove tutto è ridotto al letto di Procuste del digitale, di OnlyFans e di motori di ricerca del porno dove è possibile trovare tutto, in una borgesiana tassonomia di intersezioni del degrado, questo luogo resiste stoicamente: memoria, memoria di ciò che è stato, fallimenti di sex shop che hanno traslato, sotto l’incalzare del digitale, dell’all sex, di una dimensione hikikomori delle passioni furtive, i loro fondi di magazzino in questa arida mansarda. Ma non vieni qui per le rarità, per la storia del porno, per le serie colorite e colorate e per le promesse amatoriali, vieni qui per la disperazione antropologica degli insacca-mani, per chi si perde catatonico rimirandosi elettronicamente con gli occhi quelle decine, centinaia, migliaia di foto, copertine, generi, catalogati e sistemati da un burocrate del sesso filmico. Squilla un cellulare: silenzio, imbarazzo, colorito cianotico e giustificazioni improbabili, “sono in riunione, la richiamo io dopo”, mentre ancora ha le mani piantate nelle vaschette grigine, come la spada nella roccia. “Porto la macchina dal meccanico e torno a casa” promette un altro, al telefono con la moglie o la compagna o l’amante, mentre fissa un poster di corpi violati e serpentinamente determinati dall’orizzonte di una gang bang. La dissimulazione. La consapevolezza di aver raggiunto il fondo. Una Roma rovesciata e estinta che resiste in un gorgo dove nulla più ha un suo senso, dove le parole della modernità, del progresso, delle preoccupazioni egualitarie e gentili, non sono mai giunte. Per fortuna.
Una volta, anche se questo non è incipit di una fiaba, qui attorno, lungo via Reggio Emilia, c’era “Mondo Bizzarro”, stupenda galleria di quell’arte di confine che mai si sarebbe detto possibile ospitare nel ventre di Roma, tra surrealismo gotico e erotismo sotterraneo e che pure ha rappresentato, per anni, un punto fermo e ineludibile per appassionati del borderline. Vernissage e pellegrinaggio nella mansarda, endiadi perfetta, poi interrotta dalla chiusura della galleria. Quando ancora c’era quella feritoia luminosa nutrita di Daikichi Amano e R.C. Horsch e Trevor Brown e Takato Yamamoto e Lowbrow Art e Mark Ryden e Marion Peck, terminata la festicciola con pittori, scrittori, occultisti, Vip e azzimati giornalisti e intellettuali erotici, via, nella notte. “Al Degrado”, a via Danti. O sull’Aurelia. E in quel Vietnam capitolino dove si aprivano a raggiera attorno Termini certi locali, quando la notte ormai calata come un sudario di nichilismo e disagio prometteva di non finire più.