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Roma Capoccia - le voci del Tevere
Vita da fiume. Pescare tra i silenzi e i suoni ovattati del Tevere
C'è chi scende sotto la città, lì dove il fiume scorre nel disinteresse dei romani, per pescare pesci che non porterà mai a casa
A Roma la voce del Tevere non si sente. E’ un silenzio che attraversa la città. Eppure il Tevere parla, non ha una voce, ne ha tante. Tutte voci silenziose come lo scorrere delle acque del fiume. Le abbiamo ascoltate.
Giù dalla città, là sotto dove l’acqua scorre, c’è vita, anche se a guardare dall’alto dei ponti e dei muraglioni non ce ne si accorge. E’ vita raminga, silenziosa come il fiume. Che come il fiume non ha voce.
Non lo si sente il Tevere a Roma. Ben altri sono i suoni della Capitale, non certo quello del suo fiume. Quando il Tevere lo si ode è perché si è ingrossato, si è ribellato allo spazio che l’uomo gli ha concesso di malavoglia, ha deciso di riprendersi tutti quei luoghi che un tempo erano suoi o quanto meno alla sua portata.
Pure la vita là sotto dove il Tevere scorre è quasi sempre silenziosa. Quasi mai vista. E se viene notata è solo perché è successo qualcosa che l’ha strappata via dalle rive del fiume per porla di nuovo all’attenzione degli uomini. Accade poche volte però. Ogni volta che accade è sorpresa e raccapriccio, è qualcosa che non doveva accadere.
“Mi viene in mente Carlo Verdone quando in quel film (Gallo cedrone, nda) proponeva di asfaltare il Tevere per farne un’enorme superstrada”, ride.
Ride perché dal 1998, anno nel quale è uscita la pellicola a oggi non è poi cambiato molto. “Era una bella gag, ancora attuale, perché la considerazione che i romani, la maggior parte dei romani, ha del fiume è quella: il Tevere è un lungo impiccio che passa attraverso la città”, ci dice una delle voci silenziose del Tevere, uno dei non visti che sulle rive del fiume ha trovato la sua quotidianità.
Si chiama T., ma non esiste. Perché il Tevere non esiste.
“Sto qui, seduto su una sedia che un tempo chiamavano sedia da regista, di quelle pieghevoli. Sto qui e aspetto”.
Aspetta in silenzio, perché il silenzio è l’unica cosa che a Roma non c’è mai. Prepara la canna da pesca con cura, infilza l’esca all’amo. “Amo senza ardiglione perché se sto qui non è certo per i pesci. Nemmeno mi piace il pesce. Certo la zuppa di razza e broccoli mi piace, pure le alici e le sarde, ma il pesce di fiume... Mi fa senso solo a pensare di poterlo mangiare”.
Se si siede sulla sua sedia da regista con la canna in mano, se lancia la lenza è per altro. “Mi godo la quiete. Gli odori. Soprattutto i rumori ovattati che arrivano quasi per sbaglio quaggiù”, sino a mescolarsi con i silenzi. “Ho parlato troppo per troppi anni. Vivevo di parole, un sacco di parole e sempre le stesse. Ho fatto per trent’anni la guida turistica. Passavo dai Fori al Vaticano, dal Colosseo alle chiese del centro. Guida autorizzata eh, tutto in regola. La laurea non mi è servita per stare all’Università, però ho dato vita a quello che avevo imparato raccontandolo agli altri, a chi pagava per sentire le cose belle di Roma. Quello che fa ridere, che mi fa ridere ora ma che mi faceva incazzare un tempo, è che c’è chi paga una guida per farsi spiegare le cose e poi non la ascolta. Un po’ come il Tevere. Nessuno lo ascolta”.
Eppure appare in foto, in poster, in film. “Sì, ma l’occhio delle persone guarda il Cupolone non il Tevere. Il Tevere è un dettaglio di poco conto. Anche quando ce l’hai davanti in foto”.
In quel dettaglio di poco conto T. ha trovato un compagno di vita. “Lui e le lontre. Ce ne è una che ogni tanto si avvicina, ma sempre a più di un metro di distanza. Solo quando è inverno però, quando sono verso Ponte Sisto. In estate vado altrove. Qualcuno degli amici resta lì, io no, mi sposto più a nord. Perché ci sono le bancarelle, il casino. Da anni il Tevere s’è fatto notturno, ci sono i giovani che bevono, ballano, dicono che si divertono. Bah. Al fiume però danno solo un’occhiata. Anche a due passi dall’acqua i romani se ne fregano di lui”.
Le giornate di T. sono spesso infruttuose. “Qualche pesce lo prendo. Poi lo ributto subito in acqua. Mi scuso sempre con lui. E quando lo ributto in acqua mi chiedo sempre perché faccio sta cosa qui. Poi passa tutto. Rilancio la lenza, aspetto di nuovo. In fondo mi sento un po’ come il fiume. Un malinconico intralcio alla vita di Roma”.