
Roma Capoccia
L'altro modo in cui Atac intasa Roma
I mille amministrativi della municipalizzata non hanno neppure un giorno di smart working. I motivi sono surreali
Dal marzo del 2020, quando l’Italia fu chiusa dal primo lockdown, anche a Roma, come ovunque, i lavoratori dipendenti del comune hanno sperimentato lo smart working per oltre due anni. Inutile ripetere quanto quell’esperienza abbia cambiato i modelli di organizzazione di aziende e pubbliche amministrazioni. Un salto in avanti, da cui tornare indietro del tutto è stato pressoché impossibile. E infatti anche nell’immensa giungla della Pa capitolina, al comune come nelle partecipate, lo smart working, ovviamente in versione parziale, è entrato a far parte della vita ordinaria dei dipendenti. I comunali hanno un giorno alla settimana per alcune mansioni che possono essere svolte da remoto e due per altre (e le trattative sindacali per un’ulteriore estensione dello smart working vanno avanti). Acea, Aequa Roma, Risorse per Roma contano su tre giorni di lavoro da remoto settimanale. Roma servizi per la mobilità, azienda che si occupa della pianificazione del trasporto pubblico, arriva addirittura a 13 giorni al mese. C’è solo un’azienda che, da contratto, non contempla neppure un solo giorno di smart working: Atac. Per i dipendenti amministrativi dell’immensa società del trasporto pubblico capitolino, circa mille dei 10.400 lavoratori della municipalizzata, – che pure dal marzo 2020 all’ottobre del 2022 hanno lavorato da remoto – questa possibilità non è contemplata. La cosa può sembrare paradossale dato che il lavoro agile, oltre a permettere ai dipendenti di organizzare meglio il proprio tempo, serve anche a deflazionare il numero di persone in giro per la città, e dunque il traffico, il riempimento dei mezzi pubblici e l’inquinamento. E invece così i mille amministrativi di Atac si ritrovano a riempire o, nel migliore dei casi, a testare sulla propria pelle il servizio di trasporto pubblico che l’azienda offre alla città. Insomma, a rendere ancora meno efficiente e più intasata un sistema di trasporto non proprio noto per la sua efficienza. “Mi aspetto che Atac, per minimizzare il suo impatto sulla mobilità cittadina, sia da esempio sul lavoro da remoto e che applichi nuovamente lo smart working che aveva già messo in campo durante la pandemia, un’opportunità per tutti, perché allevia il traffico, diminuisce i costi di gestione delle imprese e migliora il rapporto vita/lavoro dei lavoratori”, dice Francesco Carpano, consigliere capitolino di Azione che sulla vicenda ha chiesto la convocazione di una commissione Mobilità.
Ma se s’indaga sul perché lo smart working non c’è, a sentire i sindacati, ci si trova davanti a una situazione ancora più assurda, e dai risvolti comici. Spiega Fabio Esposito della Uil Trasporti: “Atac è un’azienda che lavora ancora con carta e penna, gli amministrativi sparsi nei 40 depositi e lo zoccolo duro che sta nel polo di via Prenestina si muove ancora con modalità rudimentali, sono pochi i servizi digitalizzati”. A parte il legale e il dipartimento di information tecnlogy, a dar retta Esposito, sono davvero pochi i lavoratori che potrebbero svolgere da casa le loro mansioni. A partire dagli uffici che si occupano del rilascio dei certificati o degli attestati degli stati di servizio per i dipendenti. D’altronde, come racconta il sindacalista della Uil, dentro il carrozzone del tpl romano esistono ancora figure che sembrano giungere da un’altra epoca, come i “camminatori”, e cioè dipendenti che si occupano di spostare faldoni e pratiche da un deposito all’altro. Un servizio postale interno alla vecchia, vecchissima maniera. “Per fare qualcosa – dice – servirebbe chiudere il piano economico finanziario e il contratto di servizio inserendo i fondi per la digitalizzazione dell’azienda, invece dopo il concordato preventivo Atac è una società ancora in uno stato di incertezza”.
Intanto anche l’ex assessore al Personale, il consigliere della lista civica Raggi Antonio De Santis chiede delucidazioni: “Questa situazione mette Atac in una posizione retrograda e fuori dal tempo, soprattutto per un’azienda che dovrebbe modernizzarsi. A questo punto ritengo che in Atac non sia solo la flotta a dover essere rinnovata. Il punto poi è quale sia l’indirizzo politico da parte di Roma Capitale. Perché pur nel rispetto dell’autonomia aziendale, un sindaco su certi temi dovrebbe imprimere una linea. Gualtieri cosa pensa di tutto questo? Non sa che i giovani scelgono il loro lavoro e optano anche in base alla possibilità di poter usufruire di questa flessibilità? Nella capitale d’Italia invece si rispolverano le concezioni del primo novecento”.