storie romane

1977, quel corpo nel fango: il delitto irrisolto di Ida Pischedda

Andrea Venanzoni

Un mistero inghiottito dal fumo dei bellicosi anni Settanta. Per la studentessa ventenne e per il bambino che portava in grembo, nessuna giustizia

Scenografia desolata di un orizzonte in frantumi, lo spiazzo si apre a ventaglio tra fanghiglia, erba incolta e un gelido vento che spazza via della Marcigliana. Una piccola folla radunata a circolo confabula, prende appunti, mentre lampeggianti bluastri si confondono con il grigino delle auto delle forze dell’ordine. Gran vociare di cronisti e di semplici pastori, tutti radunati nel contemplare, con diverso grado di attenzione, quella matassa annerita che un tempo è stata un essere umano.


Perimetro esterno della Bufalotta, verso la Salaria, tra aridi campi e paludi oleose, gennaio dell’anno 1977. L’abitato, casermoni quasi sabbiosi da film di Sergio Leone, se ne sta obliquo a distanza, quasi pudico per questo ritrovamento. Si pensava a un pastore, brutalmente ucciso all’esito di qualche bagordo o di un regolamento di conti, in quelle notturne solitudini da vita campestre, e così, eccitato, aveva gorgogliato per telefono un anonimo passante evocando i giornalisti e chiamandoli a raccolta. Quel corpo, annerito come tizzone deposto nel fango, non è però di un pastore ma si scopre, con orrore, di una studentessa ventenne. Femminicidio, lo si definirebbe oggi. 


Per l’epoca un mistero inghiottito dal fumo dei bellicosi anni settanta, dove la cronaca nera si fonde con la cronaca politica rossa e nera, tra bombe, agguati, scontri di piazza. Ripercorri i giornali dell’epoca e la curiosità suscitata dal delitto della Bufalotta se ne sta incastonata e defilata tra volantini delle Brigate Rosse, abusi edilizi e cronaca mondana. Le indagini sono complesse, i colpi di scena non mancano, l’identificazione del corpo, visto lo stato del ritrovamento, non è decisamente delle più agevoli. Emerge trattarsi della giovane Ida Pischedda, che studia alla Accademia delle Belle Arti. Studentessa modello, con personalità decisa, persona dal grande garbo, sta vivendo una difficoltosa storia d’amore: difficoltosa per la logistica, più che altro, e che assume i contorni di un romanzo cupo e morboso. Convive con un ragazzo, a casa di lui. Sorta di teatro dell’assurdo e del malinconico, perché lei rimane in silenzio, pur senza mai scendere a compromessi e senza rinunciare alla sua forte personalità, e rimane in silenzio senza aver da ridire nonostante in quella casa ci sia anche il padre infermo del suo compagno, la madre e, particolare da romanzetto rosa, l’amante di lei.

  
Giorni dopo il ritrovamento del cadavere seriamente deturpato, tanto che nemmeno il sesso se ne riusciva a comprendere, il ragazzo effettua il riconoscimento. Nell’ambrato lucore della sala mortuaria, osservando quel piccolo anellino che occhieggia da ciò che resta di una mano arsa, afferma non esserci dubbi. I dubbi, invece, percorrono la mente di giornalisti e soprattutto inquirenti. Chi può averla ridotta in quello stato raccapricciante? La brutalità dell’assassinio fa quasi perdere di vista eventuali motivazioni sottese. Quando il nome della vittima, Ida Pischedda, viene alla luce, i quotidiani ricostruiscono piano piano la sua esistenza, le sue scelte, il suo carattere. Il fatto che fosse incinta di pochi mesi, e che con la sua sia stata spezzata anche un’altra vita. 

  
In un arco temporale di settimane, mesi e anni, si registreranno le ipotesi più fantasiose e soprattutto finiranno in carcere, in sequenza, il suo compagno, e poi l’amante della madre, che morirà tempo dopo in un incidente, e la stessa madre. In un gioco stordente di specchi e di rimandi, in cui tutti accuseranno tutti. In carcere. E poi scarcerati. Per mancanza di indizi, come avrebbe detto l’arcigno Maurizio Merli nei panni del Commissario Betti protagonista di tanti poliziotteschi. E poi incarcerati di nuovo, anni dopo, sulla base di nuove evidenze. E scarcerati ancora una volta, fino ad essere risarciti nel 1990 dallo stato. Per Ida e il bambino che portava in grembo, invece, nessun risarcimento. Nessuna giustizia. Solo il tragico ricordo di un corpo straziato, rinvenuto nel freddo silenzio di quel mattino di gennaio 1977.

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