Foto di Mimi Thian, via Unsplash  

Roma Capoccia

La capitale delle startup perde pezzi ma resta la più innovativa

Gianluca Roselli

Il mondo delle imprese emergenti è in contrazione. Roma è la città in cui nascono più aziende digitali (Milano è la città dove questa contrazione è stata meno pesante): il ruolo del polo universitario e i problemi del post pandemia

C’è stata una contrazione, anche piuttosto alta. Ma Roma resta la città italiana dove nascono più startup. Secondo una ricerca realizzata da Cerved (società informatica di gestione ed elaborazione dati), nel 2022 in città sono nate 9638 nuove startup (-906 unità rispetto al 2021, pari a un - 8,6 per cento), numero superiore a quelle nate a Milano, che sono 8751, che però tiene meglio ( -358, pari a un -3,9 per cento). Sopra il migliaio ci sono poi solo Napoli e Torino: la prima con 2569 (-14,2 per cento sul 2021) e la seconda con 1661 (-14 per cento). Chi perde meno tra tutte è proprio capoluogo lombardo, ma la capitale, dicevamo, vince per numero, confermando un trend attivo già da qualche anno. Una startup per essere tale deve essere un’azienda innovativa basato sulla tecnologia o il digitale, replicabile, non per forza sul web, anche se quasi tutte lo sono.  

Uno dei motivi di questi numeri è che Roma è il bacino universitario più grande d’Europa, con circa 400 mila studenti. Ciò significa un enorme potenziale serbatoio di talenti, il primo motore delle startup, mentre il secondo è il capitale: chi ha l’idea e chi ci investe sopra per farla sviluppare. Ma qui c’è anche una delle migliori scuole per programmatori: la Scuola 42 della Luiss. “Roma è messa bene sul talento, il primo gradino, ma sconta la mancanza di capitale privato. Per questo molte startup nascono e s’impongono qui trovando i primi finanziatori, ma per fare il grande salto se ne vanno: a Milano, ma soprattutto all’estero”, sostiene Gianmarco Carnovale, presidente di Roma Startup, associazione che si pone come luogo di confronto e coordinamento tra i soggetti dell’ecosistema startupping: università, centri di ricerca, aziende pubbliche e private, investitori. 

Qui, dunque, nascono molte buone idee, che poi trovano fortuna altrove. Le mete più gettonate sono Dublino, Parigi, Amsterdam, Barcellona, Lisbona, New York, San Francisco e Londra, nonostante la Brexit. Il sistema è a imbuto: delle nuove nate nel medio termine ne sopravvive 1 su 10, ma quelle che restano in campo, se trovano l’acceleratore giusto, hanno il 70-80 per cento di possibilità di avere successo. “L’acceleratore è un’azienda che crede in te, ti fornisce i primi capitali per partire (da 50 a 150 mila euro), ma ti impone un crono programma, con tappe di sviluppo da seguire”, racconta Carnovale. Una cosa simile al Pnrr.

Superata questa fase, si passa alla successiva: trovare capitali importanti per il grande salto. Il massimo è intercettare un fondo di ‘venture capital’ che investa molti soldi e a quel punto è fatta. “La novità degli ultimi anni è che ora non è per forza necessario trasferirsi in Usa per avere accesso a grandi capitali, perché sono i grandi fondi americani a scandagliare i paesi in cerca di nuove idee: ti vengono a cercare loro, come farebbero i cacciatori di teste”, spiega ancora Gianmarco Carnovale. Il bello delle aziende tecnologiche è che i ricavi sono (molto) più alti dei costi. Insomma, se si ha successo, si può diventare ricchi in breve tempo. 

Per quanto riguarda i settori, le startup romane vanno forte in intelligenza artificiale, sport, giochi e intrattenimento, energia, sostenibilità e agri food tech (tecnologia applicata all’agricoltura). Tra le startup capitoline di maggior successo negli ultimi anni ci sono Translated, ovvero un programma di traduzione automatico sul web; FitPrime, metodi di allenamento uniti a piani nutrizionali; Vikey, un sistema automatizzato di check-in per appartamenti e b&b; Kiwi Bot, sistema di robotica applicata al delivery, fondato da colombiani ma sviluppato a Roma. Tra qualche anno la cena non ce la porterà più un rider ma un robottino.

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