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Roma Capoccia

Roma invasa dalle aragoste. Torna l'arte di Philip Colbert

Andrea Venanzoni

Le installazioni del talentuoso e visionario artista britannico nelle strade della capitale non sono l'unica forma d'arte che mette in mostra i crostacei. I precedenti, da David Foster Wallace a Giuseppe Pontiggia 

Vi sarà capitato nei mesi scorsi, transitando per Via Veneto, di imbattervi in fumettistiche statue dalle fattezze di cartone animato o di fiaba lisergica, sospesa questa tra Alice nel Paese delle Meraviglie e una allucinazione post-sciamanica. Aragoste pop antropomorfe di varia grandezza e di vari colori, a presidio di incroci, marciapiedi, atri di alberghi. Realizzazioni artistiche di Philip Colbert, talentuoso e visionario artista britannico definito figlioccio di Warhol, letteralmente ossessionato dalla figura dell’aragosta fino ad esserne divenuto alter-ego. 

Ed ora, dopo aver trasformato l’epicentro viario della fu Dolce Vita in installazione ambientale a cielo aperto, Colbert e le sue aragoste tornano a far visita a Roma; precisamente, fino all’otto gennaio presso il complesso di San Salvatore in Lauro. Diciotto opere tra statue e dipinti riproducenti l’universo chelato di un creativo che ha seraficamente dichiarato di essere divenuto un artista quando ha scoperto di essere una aragosta.

Quel bizzarro, simpatico e pregiato crostaceo al centro dell’interesse di chef stellati, ambientalisti e grandi narratori che ne hanno fatto epitome di riflessioni postmoderne su morte, sofferenza e godimento, come è stato per il magistrale David Foster Wallace che l’aragosta e la sua dolorosissima e sadica dipartita in acqua bollente ha narrato in “Considera l’aragosta”. E proprio in questo sotto-tema, quello della sensibilità etica e ambientale, c’è una comunanza di vedute e visioni tra il Wallace che si apparecchia alla fiera dell’astice del Maine, per deliziare le sue papille gustative al prezzo della indicibile sofferenza di creature viventi bollite vive ricavandone tutta una lunga serie di domande e spinose questioni esistenziali e filosofiche, e il Colbert che ha eretto una città virtuale nel metaverso, Lobsteropolis City, nel cuore del progetto ‘Lobstars’, per ricavare fondi da devolvere alla ricerca e al benessere delle creature marine.

In fondo, un grande narratore come Giuseppe Pontiggia aveva affrescato simili considerazioni nello stridore che divarica gusto culinario e gelida crudeltà.  “Bestie feroci − L’uomo come viene intravisto dall’aragosta, immersa viva nell’acqua bollente, perché sia più buona” ha scritto l’autore, nel suo ‘Prima persona’.

Il tocco di Colbert miscela sapientemente cultura pop, e surreale, con l’iconografia mitologica e classica, finendo per essere perfetta rappresentazione di una città come Roma: le sue aragoste sfidano e decapitano Meduse, combattono con Minotauri, si aggrovigliano in carne e spirito in forme laocoontiche. Il contrasto con la monumentale e ieratica fisionomia di San Salvatore in Lauro, con l’esplosione policromatica delle tele e di alcune statue che si infrange contro il solustro di finestrelle e nicchie e una illuminazione ambientale tenue e virata a far da cornice, diventa opera nell’opera.

E in questo contrasto, meditativo ed evocativo, si coglie una distonia psico-storica che affiora alla fredda luce del giorno: l’aragosta, fumettistica, strana, simpatica, che oggi ammiriamo nell’arte di Colbert è quel cibo pregiato e considerato raffinato e che pure un tempo veniva percepito come disgustoso, degno solo di palati abietti e volgari.

Wallace ricorda come fino all’ottocento, persino il regime alimentare delle peggiori carceri ritenesse eccessivamente crudele sfamare i detenuti con carne di aragosta per più di una volta a settimana. Tornando all’oggi, Colbert ha dichiarato di amare Roma per la sua eterna connessione col passato. Per molti artisti stranieri, la nostra città, nonostante degrado, rovina, disfunzionalità nei servizi (che almeno loro sperimentano in maniera molto limitata, per non dire nulla), continua ad essere fonte di fascinazione e di ispirazione, una potente vetrina.

Non sarebbe male poter dire lo stesso anche per la classe dirigente che amministra la città. In caso contrario, si potrebbe pensare a un commissariamento da parte delle simpatiche aragoste.
 

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