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Roma capoccia

Come rivitalizzare il Tevere: modello Monaco o Amsterdam?

Gianluca Roselli

In autunno il fiume che attraversa la capitale si riscopre in tutta la sua magnificenza. Ma sulle prospettive per sfruttarlo al meglio ci si divide: due idee a confronto

“Ma sto fiume ce serve o nun ce serve? Perché se ce serve lo voglio vivere e navigare, ma se nun ce serve…”, diceva Carlo Verdone in Gallo Cedrone, con l’idea di asfaltare. Ecco, vivendolo in autunno, il Tevere si riscopre in tutta la sua magnificenza che, come tutte le cose a Roma, porta con sé una certa dose d’imperfezione. Percorrendo il suo argine da Castel Giubileo fino alla Magliana si vede di tutto: rifiuti, isole di terra, sterpaglia, accampamenti di clochard, scheletri di barconi abbandonati, ma pure scorci meravigliosi, circoli di canottaggio, ristoranti e music club sulle chiatte. Si cammina, si corre, si va in bici. D’altronde proprio qui Paolo Sorrentino ha ambientato le riprese finali de La grande bellezza.

 

Potrebbe essere sfruttato meglio, questo fiume che spesso Roma si dimentica di possedere. Ma con scuole di pensiero diverse. “Il modello è Monaco di Baviera sul cui fiume oggi si può fare il bagno. Intervenendo lungo il percorso tra Umbria e Lazio, sistemando gli argini, bonificando alcuni tratti, il Tevere potrebbe essere più bello. E si potrebbero organizzare escursioni”, osserva il geologo Mario Tozzi. Niente house boat, dunque? “Qualche barcone va bene, ci sono già, ma senza esagerare: il Tevere è un fiume, non un canale. Non è Amsterdam. Meno s’invade e meglio è”, risponde Tozzi.

Di diverso avviso chi pensa che il fiume potrebbe rendere di più all’economia cittadina. Con house boat per ospitare turisti e il fascino di soggiornare in un hotel o un b&b sull’acqua. O con qualche bistrot in più. Qui negli anni ’50 c’era il famoso barcone der Ciriola, dove i romani venivano a fare il bagno, immortalati da Dino Risi in “Poveri ma belli”. Ma anche più cinema o teatro. “Le persone adorano venire da noi anche perché siamo sul fiume: l’acqua e la diversa prospettiva della città regalano un fascino unico”, spiega Francesca Romana Succi, titolare del Lian Club.

Certo, le incombenze non mancano. “La manutenzione, in primis, perché ogni giorno ce n’è una. L’Ama che non sempre passa. E se l’immondizia s’accumula, i topi fanno festa. Poi c’è sempre il rischio piena…”, racconta Succi. Per rilevare una chiatta e aprire un’attività occorrono più di dieci permessi tra comune, provincia, ente fiume, ministero, eccetera. Insomma, ci vorrebbe meno burocrazia. Tra poco tornerà a nuova vita il barcone del Circolo Ondina, andata a fuoco nel 2020. Intanto i battelli per turisti hanno ripreso a navigare dall’isola tiberina a ponte Milvio. 

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