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Moreschi, l'Angelo di Roma, ultimo incredibile cantante castrato

Andrea Venanzoni

Camminando nel cimitero del Verano ci si può imbattere nella sua tomba. Ecco la sua storia

Le voci più acute e celestiali molto spesso sono state generate dal profondo di esistenze in frantumi. Al giorno d’oggi può apparire quasi paradossale che per secoli, spettacoli musicali e rappresentazioni d’opera lirica, dopo l’espunzione delle donne dai cori e dalle parti di scena, e ferma l’esigenza di preservare il timbro lirico femminile, si siano servite dei castrati.

    
I cantanti lirici che avevano in età pre-puberale subito quel marchio chirurgico venivano spesso risparmiati da un simile epiteto, di sovente infamante e scarsamente commendevole: si preferiva definirli “cantori castrati” o “soprani naturali”, dizione quest’ultima che sottintendeva la innaturalità ormonale del cambio di voce dell’uomo dopo la pubertà.

    
Camminando nel cimitero del Verano, può capitare di imbattersi nella tomba della famiglia Moreschi, dove riposa anche Alessandro, detto l’angelo di Roma, ultimo dei cantanti lirici castrati e unico di cui ci siano giunte, impressionanti, prove liriche registrate: se si ascolta una delle diciassette registrazioni effettuate all’epoca, ignari del fatto che Moreschi fosse un uomo, rimane oggettivamente impossibile pensare che quella voce totalmente femminile possa provenire dal corpaccione di un maschio.

     
Nato nel 1858 a Monte Compatri, Moreschi subì il destino che, secondo studi storici, lo avrebbe accomunato ad altre migliaia di ragazzini; venir castrati tra i 7 e i 12 anni, con una operazione dagli esiti assai incerti, sia per le scarse conoscenze medico-chirurgiche sia perché, essendo vietata dalla legge, tanto quella statale quanto quella del codice canonico, veniva spesso praticata non solo da chirurghi in luoghi discutibili ma anche da macellai, come quelli di Norcia.

    
Le motivazioni che portavano a far castrare i figli, laddove si fosse palesato un qualche talento canoro, erano dettate dalla povertà; molti cantanti castrati erano orfani o provenienti da famiglie gravemente indigenti

  
Ma per ogni cantante divenuto poi una star, come Sebastianelli, Mustafa o il celeberrimo Farinelli, moltissimi altri rifluivano nelle viscere della prostituzione o della malattia mentale, dovendo convivere con una gravissima menomazione che avrebbe intaccato per sempre le loro capacità relazionali e affettive.

   
Con la sola eccezione di Farinelli, di quasi tutti i cantanti castrati le cronache e i libri di storia riportano caratteri molto difficili, personalità eccentriche e assai spesso un odio viscerale per le famiglie di provenienza che avevano fatto subire loro una così menomante operazione.

    
Moreschi, nel 1883, si unì al Coro della Cappella Sistina, il più prestigioso di Roma e che impiegava cantanti castrati sin dal 1500, nonostante sin dal 1878 il Pontefice avesse formalmente fatto divieto di utilizzare “soprani naturali”: come ricorda però lo storico della musica Franz Habock, moltissimi castrati per celare l’esser stati sottoposti all’intervento chirurgico inventarono incidenti di ogni sorta, tra cui il più ricorrente era un morso di qualche animale selvatico.

 

Il coro della Cappella Sistina fotografato il 4 marzo 1898 in occasione del ventesimo anniversario dell'incoronazione di papa Leone XIII. Sono presenti i castrati: 1 Giovanni Cesari. 2 Domenico Salvatori. 3 Domenico Mustafà. 4 Alessandro Moreschi. 5 Vincenzo Sebastianelli. 6 Gustavo Pesci. 7 Giuseppe Ritarossi.


  
L’educazione musicale di Moreschi fu portata avanti nel rigido clima di San Salvatore in Lauro, a Roma, e tra il 1902 e il 1904 registrò una serie di canzoni direttamente in Vaticano. Sentendolo cantare, la moglie dell’ambasciatore danese in Roma parlò di una “melodia sovrannaturale”.

    
Le sue doti tecniche e canore, pur risentendo del gusto affettato dell’epoca, erano indiscutibili, e in poco tempo si guadagnò la giusta celebrità.

   
L’appellativo di “Angelo di Roma” gli venne riconosciuto per la struggente interpretazione di un Serafino nel beethoveniano “Cristo sul Monte degli ulivi”.

   
Ma il suo vero trionfo personale e professionale si registrò il 9 agosto 1900, quando, dietro espressa richiesta della Casa Reale italiana e sotto la direzione di Pietro Mascagni cantò ai funerali di Umberto I, ucciso poco tempo prima a Monza.

   
A lui, scomparso nel 1922, alla sua vita e alla sua opera, lo storico inglese Nicholas Clapton ha dedicato un volume risalente al 2004, “Moreschi – l’angelo di Roma” ed è attiva una associazione, con coro polifonico, che reca il suo nome e ne porta avanti la memoria e l’opera.
  

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