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Roma Capoccia

Non è una città per disabili, candidati parlate

Andrea Venanzoni

È la capitale delle barriere architettoniche. Tra interventi mai attuati e difficoltà quotidiane. La politica che dice?

Stazione Lido centro. Un uomo su una sedia a rotelle scende dal treno in arrivo da Roma e rimane prigioniero della banchina centrale: l’ascensore non funziona e l’alternativa rappresentata da ripide scalette non è praticabile.  Per ingannare l’attesa, avendo capito che dovrà attendere un convoglio in arrivo nella direzione opposta, racconta ai passeggeri allibiti altre vicende simili che gli sono capitate nei giorni scorsi. Ad Acilia, ad esempio: in quella occasione se ne è dovuto tornare indietro, a Vitinia, che dista chilometri. Sulla Metro B ha rischiato di venir trascinato via, incastrato nella porta chiusa del vagone. Riesce ad attraversare i binari soltanto quando arriva il treno in direzione opposta alla sua: vengono aperte entrambe le porte e come in un ponte di barche modello Seconda guerra mondiale gli è consentito l’attraversamento.

 

Una fotografia desolante e indegna di una città che da anni è definita Capitale delle barriere architettoniche: definizione coniata da Andrey Chaykin, leader della associazione “Disabili Pirata” che nel dicembre del 2019, in occasione della giornata mondiale della disabilità, ha monitorato il trasporto pubblico capitolino, le strade, i marciapiedi, l’accessibilità nei plessi istituzionali, ricavandone una sconcertante fisionomia di città ingombra di barriere e limitazioni allo spostamento dei disabili. Un problema enorme e con cui i candidati sindaco dovrebbero confrontarsi seriamente, ovvero accantonando facili slogan e studiando soluzioni che in realtà la normativa imporrebbe già da anni. Quanti sono i disabili a Roma? Una statistica difficile vista la delicatezza del tema, e le stesse rilevazioni Istat, essendo basate su indicatori puramente burocratico-amministrativi, finiscono con il fotografare una realtà solo parziale: ad ogni modo, secondo stime formulate dalla Associazione “Luca Coscioni”, molto attiva anche sul fronte del superamento delle barriere architettoniche e che ha campionato i principali problemi in tema, i disabili, di vario genere, a Roma sarebbero circa il 10 per cento della popolazione complessiva

 

L’associazione ha peraltro operato un censimento, risalente al 2012, che rilevava come di 460 fermate bus ubicate nel centro cittadino, soltanto il 10 per cento fossero accessibili ai disabili.  E sempre la “Luca Coscioni” ha creato la app “No Barriere”, un autentico stradario digitale delle barriere architettoniche: si inserisce il nome del comune, in questo caso Roma, e davanti ai nostri occhi si dipana una elefantiaca lista di disfunzioni architettoniche capaci di rendere gli spostamenti dei disabili un autentico inferno. Ogni segnalazione è geolocalizzata, corredata da una foto e indica se è stata formalmente segnalata al comune di Roma. Un lunghissimo elenco, articolato per vie, stazioni metro, istituti scolastici privi di rampe di accesso, percorsi per non vedenti interrotti, alberi e arbusti cresciuti al centro della carreggiata, disconnessioni sui marciapiedi. Ma nonostante Roma Capitale abbia riconosciuto nel 2020, tardivamente, i Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (Peba), introdotti nel nostro ordinamento con la legge 41/1986 ed estesi agli spazi pubblici con legge n. 104/92, e di cui l’allora consigliere comunale Riccardo Magi aveva chiesto attuazione già nel 2013, vi è da dire come il tutto sia rimasto a livello di mero intendimento poco più che teorico.

 

Esattamente come la delibera dell’assemblea capitolina n. 49/2020, che ha dettato indirizzi per il superamento delle barriere architettoniche da inserirsi nel nuovo Regolamento edilizio che però deve ancora essere approvato. Al di là degli intendimenti di principio, la realtà ci racconta di stazioni inaccessibili, ascensori di palazzi di edilizia popolare non funzionanti, marciapiedi funestati da voragini, autentici pericoli per chi soffre di disabilità motoria e per i non vedenti.  In questo quadro, non stupisce scoprire come Roma Capitale sia stata molteplici volte condannata in giudizi, tanto civili quanto amministrativi, per condotte discriminatorie contro i disabili, dovendo sopportare ingenti spese di soccombenza e di risarcimento i cui costi sono finiti sulle spalle della collettività e che invece meriterebbero un apprezzamento erariale a carico di classe politica e amministrativa, entrambe negligenti. 

 

Ultimo caso in ordine di tempo, nel dicembre 2020, quando il Tribunale civile ha condannato l’amministrazione capitolina per la inaccessibilità del ponte pedonale che collega la stazione di Ostia Antica agli scavi archeologici. In alcuni casi, per quanto possa suonare paradossale, sono i progetti stessi dell’amministrazione a complicare la vita ai disabili; è il caso delle piste ciclabili. Quella di Testaccio ha suscitato perplessità della polizia locale, proprio per la pericolosità potenziale per i disabili. Quella di Ostia ha invece eliminato i posti auto dei disabili lato mare. Sarebbe opportuno a questo punto che i candidati rivelassero cosa intendono fare. Sul serio.

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