Roma Capoccia
Il futuro sviluppo del Lazio è nella ricerca farmaceutica
La pandemia è servita anche a capire la forza di un settore industriale e la vocazione del territorio. Politica e impresa
Il Lazio ha deciso di puntare sulla ricerca farmaceutica, in particolare nel campo delle bioscienze. La pandemia ha riportato salute e scienza al centro dell’interesse degli italiani. I vaccini – nonostante i deliri no vax – sono visti ormai da quasi tutti come la luce in fondo al tunnel della pandemia. Insomma, il momento storico contribuisce, ma ancor prima della contingenza sono i numeri a convincere Zingaretti e la sua giunta a pensare alla ricerca farmaceutica come una delle chiavi strategiche dello sviluppo regionale per i prossimi anni. Il Lazio è la prima regione per export di farmaci, 11,4 miliardi, il 34 per cento del totale. E le esportazioni – in continua crescita – in questo settore valgono il 47 per cento di quelle regionali.
La regione è seconda – la precede solo la Lombardia – per numero di addetti, 14mila, a cui si sommano i 16mila lavoratori dell’indotto. Anche la ricerca nel settore può vantare numeri discreti: circa 1.200 ricercatori e 310 milioni d’investimenti nel 2020. Come il Covid ha insegnato, con l’esempio dei vaccini, la filiera produttiva dei farmaci è complessa ed internazionale. Giorni fa ad esempio è assurto all’onore delle cronache l’impianto Catalent di Anagni, la multinazionale americana che nella cittadina del frusinate infiala i vaccini Astrazeneca (e farà lo stesso con il siero della Janssen). È solo un esempio delle mille cose diverse che le oltre 60 aziende presenti – tra multinazionali e piccole e medio imprese italiane – fanno tra Pomezia (provincia di Roma), Latina, ma anche, in minor parte Rieti e Frosinone.
Si spazia da chi produce farmaci generici, ad aziende che si limitano al confezionamento, da chi prepara soluzioni per curare rare malattie autoimmuni e terapie tumorali a chi produce garze e cerotti fino alla Bsp di Latina che da mese produce anticorpi monoclonali fino ad ora esportati negli Usa. Oltre alle produzioni, ci sono poi i centri di ricerca. Basti pensare che la ricerca di base che ha portato al vaccino AstraZeneca è stata svolta dalla Irbm di Pomezia. Su vaccini e monoclonali, con Irbm e Bsp, oggi la giunta regionale approverà due contratti di sviluppo. Un ecosistema dinamico e vivo.
Che fare dunque per migliorare ancora? L’idea della Regione è semplice: investire per aumentare la ricerca e la produzione di farmaci innovativi. Se n’è parlato martedì nel corso di una tavola rotonda organizzata dalla Filctem, la federazione di settore della Cgil. “Siamo consapevoli che per questa Regione il farmaceutico rappresenta un punto di forza. Da qui dobbiamo per procedere per un rafforzamento con incentivi non a pioggia ma indirizzati lì dove si crea più valore aggiunto, come del settore delle bioscienze”, ha detto l’assessore allo Sviluppo Economico della Regione Lazio Paolo Orneli. L’obiettivo specifico è proprio fare della regione un polo d’eccellenza nella ricerca in questo campo a livello internazionale.
Su questo s’inseriscono almeno due scelte fatte recentemente dalla giunta Zingaretti. La prima è stata formalizzata a febbraio. La giunta regionale ha ufficialmente candidato l’ex ospedale Forlanini a diventare la sede della nuova Agenzia europea della ricerca biomedica (un ente che però ancora non esiste, ma la cui creazione è stata annunciata dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen lo scorso settembre). La seconda scelta l’ha spiegata proprio Orneli nel corso della tavola rotonda: “Con la Sapienza, Roma Tre e Tor Vergata, stiamo lavorando alla creazione del Roma Technopole, un centro di alta formazione interdisciplinare e di ricerca che sia in grado di fare accordi internazionali e aumentate la capacità di servire le grandi imprese, le bioscienze saranno al centro di questo progetto”.
Come ha spiegato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, anche lui presente all’incontro: “La ricerca non si inventa dalla sera alla mattina, ma è frutto di grandi investimenti e per ottenere risultati ci vogliano decenni. E’ essenziale – ha proseguito – che il Lazio che ha tante facoltà di medicina, Biologia e Biotecnologie capisca che questo è il momento di muoversi. Oggi c’è una grande quantità di ricercatori che non hanno uno sbocco e un’interazione sufficiente con le aziende. Serve un modello diverso di formazione, senza difficilmente riusciremo ad abbattere questo specie di muro”. Secondo Ippolito inoltre serve tenere in Italia anche le produzioni.
“La ricerca può determinare fino al 10 per cento del Pil nazionale” e per questo “serve riuscire a mantenere qui anche quote di produzione”. Questo è un cruccio del direttore dello Spallanzani che ha spinto a lungo per investire in un vaccino italiano, quello pensato proprio dall’istituto nazionale di malattie infettive con il supporto di Reithera e che attualmente si trova nella fase 2 della ricerca clinica: “La differenza tra noi e gli altri paesi in questa battaglia – ha detto Ippolito – è stato l’investimento pubblico: Moderna ha avuto 2,5 miliardi per fare vaccino dal governo americano, la Germania ha pagato BioNTech subito. Se in Italia è partito un vaccino è solo perché Zingaretti e l’ex ministro Manfredi si sono messi intorno a un tavolo e hanno detto proviamo a fare un investimento”.
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