Foto tratta dalla pagina Facebook del Roman Poetry Festival

Il festival dei poeti di Castelporziano compie quarant'anni

Stefano Ciavatta

Il Roman Poetry Festival è un mito riuscito, magia mediterranea irripetibile non per nostalgia ma per logistica: tre giorni di poeti su un palco sulla spiaggia comunale, ultimo tratto tra Ostia e Torvaianica

Roma. Castelporziano è il felice convitato di pietra di ogni estate romana. A fine giugno compie quarant’anni, domenica festa con il Roman Poetry Festival curato da Igor Patruno e diretto da Renzo Paris al WeGil. La sua leggenda è randomica, si morde da tutti i lati, come “Proprietà perduta”, il diario-reportage scritto da Franco Cordelli (L’Orma). Il dirigibile stile Scarface con i versi in loop, il veliero dove alloggiare Amelia Rosselli e Burroughs sono rimasti sulla carta, ma non importa: Castelporziano è un mito riuscito, magia mediterranea irripetibile non per nostalgia ma per logistica: tre giorni di poeti su un palco sulla spiaggia comunale, ultimo tratto tra Ostia e Torvaianica, dove finisce Roma, dune della macchia a mo’ di cuscinetto, arenile presidenziale donato al popolo nel 1965. E dentro questo scenario zero sponsor, prevendite, accesso vip, security, etc. Ancor più il miracolo: nessun incidente. Dove nessun Primavera Sound è mai sbarcato ci riuscì Nicolini fresco di Massenzio.

 

Venne il sindaco Argan a salutare: 70 anni, due infarti e un malore proprio giorni prima, arrivò con gli occhiali spessi e il vestito scuro, perplesso davanti alla sabbia bollente “ma stoicamente andò incontro a Nicolini tutto allegro, in camicia sbottonata e calzoncini corti”, racconta Patruno.

 

Un teatro di sabbia unico, e dal teatro underground venivano gli organizzatori: Carella, Cordelli, Benedetti, lo scenografo Romano. Le cantine off uscivano dal buio sold-out per spalancarsi sulla playa selvaggia, gioioso rito riparatore della notte cupa e minacciosa dell’Idroscalo (nel 79 la Cassazione ribadisce la sola colpevolezza di Pelosi): “forse il pensiero di Castelporziano nasce dalle foto terrificanti su Paese Sera del corpo martoriato di Pasolini” dice Cordelli. A domare la folla chiassosa e isterica non la sobrietà alla Augias ma Victor Cavallo da Garbatella, riccio, tarchiato, scafatissimo: una salvezza per il traffico di sconosciuti allo sbaraglio sul palco. Il resto lo fece la sensualità del luogo, sfinendo qualsiasi velleità di bloccare l’happening perchè “manca l’analisi”. Rimaneva l’eccitazione, l’esibizionismo del “siamo tutti poeti”.

“Mille spettatori per la prima, trentamila per la terza” dice il mito, dati della questura non pervenuti. Di sicuro Moravia non trovò parcheggio. Platea ruggente, carnaio irrequieto. Carattere vario: feroci con gli italiani, provinciali con gli americani, e poi un termometro schizzato tra straccioni e naif, sottoproletari e dialetti del sud, nudità e folklore.

 

Ospitalità low budget per i poeti nell’ex alberghiero ex dolcevita Elnac, all’epoca in disuso e sotto disinfestazione, tutti i poeti presero i pidocchi come le rockstar, forse per questo c’era anche un inviato di Playmen. Cordelli generosamente divise il letto con Soriano. Potenti performance di Ginsberg, Corso, Ferlinghetti, già rodati, Pivano dietro le quinte, inossidabile Burroughs. In affanno gli italiani Zeichen, Vassalli, De Angelis, Cucchi, Bellezza subito stizzito, Maraini proferì “avevo una bella faccia verde” e desistette, la Rosselli tirò dritta e ottenne il silenzio. Pagliarani e Giuliani non salirono. Vinse il cortocircuito: la poesia appartiene a tutti ma quando tutti alla fine salirono il palco collassò lentamente, tra stupore e brividi, senza feriti. Per Cordelli “con Castelporziano è finita un’epoca estetica, impossibile fare di più con quell’anarchia”. Sfogliando gli archivi, ad ogni articolo sul festival c’è la notizia di un morto per overdose. Next stop Amore tossico.

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