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Roma andrebbe demolita e rifatta daccapo

Gianluca De Rosa

Opere incompiute, irrazionalità urbanistica, abbandono amministrativo. La capitale ha tutti i vizi del meridione

Ricorsi al Tar, stalli burocratici, cambi di giunta, mancanza di fondi, mala amministrazione, complicato rapporto pubblico-privato, sovrapposizione di competenze tra enti. Sono infinite le ragioni che fanno di Roma la capitale delle opere incompiute. L’argomento è attuale e riguarda anche una struttura che a ben vedere oggi è completata, ma si allunga su un marciapiede di via Cristoforo Colombo di due metri di troppo. Parliamo ovviamente della Nuvola di Fuksas. Sebbene ci siano voluti otto anni a costruirla ed Eur S.p.a. abbia speso circa 353 milioni di euro per il suo completamento, la Nuvola rappresenta oggi un esempio d’incompleta “gestionale”. Il pasticcio combinato con la traslazione di pochi metri dell’intero edificio, ha costretto la società controllata dal Mef e dal comune di Roma a posticipare la pubblicazione del bando di gara per la gestione della Lama, l’hotel adiacente, sempre progettato da Fuksas e di proprietà di Eur s.p.a., che avrebbe dovuto fruttare all’azienda un miliardo di euro. Una bel problema senz’altro, ma la Nuvola, almeno, oggi c’è. Tutt’altra sorte è toccata a molti cantieri che ancora aspettano di essere chiusi.

 

Roma è una città fatta di simboli, e così anche per quanto riguarda quelle opere iniziate e mai finite, la città può vantarne uno: la Vela di Calatrava. Anche dall’altro lato della città, basta affacciarsi dalla terrazza del Parco di Monte Mario e lontano lontano, verso sud, si può scorgere quel gigantesco ammasso di ferro abbandonato. La storia è nota: nei terreni dell’università di Tor Vergata doveva sorgere la città dello Sport, così fu deciso a inizio millennio. Piscina olimpionica, palazzetto dello sport e campi sportivi, tutto affianco a due vele di ferro disegnate dall’architetto di fama internazionale Santiago Calatrava. Il costo dell’opera doveva essere di 60 milioni (prevedeva solo alcuni degli impianti). E’ lievitato a 600. Prima perché si puntava a far lì i Mondiali di nuoto del 2009, poi per la candidatura alle Olimpiadi del 2020 alla quale rinunciò l’allora premier Mario Monti. Sino a oggi sono stati spesi 201 milioni. E per completare l’opera ne servirebbero altri 426. Il risultato netto è “una vela nel deserto”.

 

Il Lazio detiene il record delle incompiute: 82, di cui la maggior parte a Roma. E se la Vela ha la medaglia d’oro, alle opere di Piazza dei Navigatori, all’Eur, spetta almeno un bronzo. Nel 2002 con un accordo di programma, seguito due anni dopo da una convezione, il comune concesse alla Federici e Igliori, in deroga al piano regolatore, di costruire 60 mila metri cubi in più del consentito. In cambio l’impresa s’impegnava a realizzare una serie di opere pubbliche, primarie e secondarie, per un totale di oltre 12 milioni, che comprendevano: l’interramento di una parte della Cristoforo Colombo, un asilo nido in piazza dei Navigatori, e un’area di verde pubblico. A oggi, è ancora il nulla di fatto.

 

Ancora più allucinante è la storia dei punti verde qualità, delle zone verdi (per un totale di 444 ettari, più di villa Pamphili, di villa Borghese e villa Ada insieme) date in carico a privati, che in cambio avevano la possibilità di gestire all’interno delle aree i locali commerciali. Nel 1995 con una delibera consiliare il comune ne mise a bando 75, ne furono aggiudicate 63. Di queste, quelle che oggi funzionano e non versano in uno stato d’abbandono sono poco più di una decina. Che cos’è accaduto? Con una serie di delibere di giunta (dal 1999 al 2009) le amministrazioni che si sono succedute hanno garantito gli investimenti dei privati sui punti verdi con fidejussioni bancarie a garanzia del 95 per cento dell’investimento privato (un totale di 550 milioni) presso due istituti bancari (Bcc e istituto di credito sportivo). “Alcune concessionarie hanno pagato imprese terze per costruire i locali con i finanziamenti degli istituti di credito e poi non hanno restituito le rate del mutuo alle banche che si sono rivolte al Comune” ci spiega Federico Siracusa, ex consigliere municipale dell’Italia dei Valori – inoltre moltissimi punti sono stati lasciati al totale abbandono”. Oltre il danno la beffa. Il comune ha per questa vicenda un’esposizione patrimoniale di 250 milioni di euro per la quale – secondo il bilancio previsionale del triennio 2017-2019 – deve accantonare come “passività potenziali” quasi nove milioni di euro l’anno.

 

Il rapporto pubblico-privato, per fortuna, non ha prodotto solo i punti verde. Ci sono anche esempi virtuosi: è il caso dei parcheggi interrati. La modalità è semplice: il privato fa il parcheggio e in cambio cura l’area in superficie. E’ così che oggi piazza Cavour può vantare un giardino tenuto in modo eccellente. Ed è sempre così che, se si percorre via Mascagni, al quartiere africano, si nota che il giardino che costeggia la strada è diviso in due parti: una ben curata e una seconda dove domina l’erba alta, ricoperta di cartacce e quant’altro. Perché? La risposta è semplice: la prima è gestita dalla società che ha costruito il parcheggio, la seconda è curata da Roma Capitale. Ma anche qui ci sono le incompiute. In centro, in via Giulia, il parcheggio è ultimato, peccato che il giardino che doveva sorgere sopra, come opera finanziata con gli oneri della concessione dei diritti di superficie pagati dalla ditta che lo ha costruito, ancora non si vede. Eppure i soldi ci sono. Manca una delibera di giunta.

 

A piazzale Cornelia, invece, nel 2001 fu inaugurato il parcheggio più tecnologico d’Europa. “Ce n’è solo un altro in tutto il continente- ci spiega Marco Giovagnorio, consigliere di Fratelli d’Italia al municipio XIII – doveva esserci un meccanismo che lasciata la macchina in una sorta di ascensore te la parcheggiava”. “Ovviamente – aggiunge – sono fioccate in pochi giorni le segnalazione di persone che rimanevano intrappolate dentro e di altri guasti”. L’opera, che è costata 50 milioni, è stata chiusa dopo un mese per riaprire nel 2006 e richiudere nuovamente un mese dopo. “Si scoprì che i due livelli più in basso dei parcheggi erano troppo vicini al tracciato della metro A e creavano un serio rischio” spiega il consigliere. Oggi quello che doveva essere un parcheggio d’interscambio cruciale per il quadrante nord-ovest della città è un rifugio per senzatetto.

 

La zona vicino alla metro Cornelia sembra davvero voler essere l’area regina delle incompiute. A pochi metri dal parcheggio, proprio a ridosso del parco della pineta Sacchetti, sorge quel che resta dell’auditorium, un centro polifunzionale che, da quanto risulta agli atti, è stato finanziato in cinque tranche (tra 2003 e 2014) da Provincia, Municipio e Dipartimento capitolino. Più di quattro milioni di euro di soldi pubblici. Ironia della sorte, a novembre scorso, proprio mentre venivano ultimati i lavori per il sistema antincendio sul tetto dell’edificio, l’auditorium ha preso fuoco. “Da quanto mi risulta non è stata fatta ancora una valutazione del danno economico, e da novembre sono passati più di sei mesi”, ci dice Giovagnorio.

 

Si potrebbe andare avanti all’infinito a elencare le opere incompiute di Roma, ma a questo punto, nell’eterna attesa, godiamoci la Nuvola.

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