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Perché a Roma non c'è un sistema al servizio del turismo e della storia?

Giuseppe De Filippi

Filippo Cosmelli è un imprenditore che porta in giro per la Capitale i milionari di mezzo mondo: “Siamo appetibili, ma manca una strategia d’uso del patrimonio”

Filippo Cosmelli comincia chiedendo di allargare lo sguardo. “Partiamo dalla percezione che gli stranieri hanno del centro storico di Roma – ci dice – e che tendono a definire, a letteralmente vedere, piccolo, mentre in realtà è immenso. 1430 ettari all’interno delle mura Aureliane. Eppure quartieri come il Celio o l’Esquilino non sono considerati centro, il che è ridicolo perché significherebbe avere un’idea di città più misera rispetto a quella di 2000 anni fa”.

 

Della capacità di vedere più a fondo e più in largo Cosmelli ha fatto la carta vincente del suo business, riuscendo a proporre alla migliore clientela internazionale offerte uniche di esperienze storiche e artistiche. Sembrerebbe il colmo in una città come Roma, dove bello e pittoresco sono scodellati lì un po’ per tutti. Ma appunto gli errori fioccano proprio dove c’è troppa offerta. “E’ difficile menzionare quali luoghi sono ancora da valorizzare, perché la lista e lunga e soggettiva – dice Cosmelli – c’è piuttosto un problema di approccio, di mancanza di visione. I mercati di Traiano ad esempio: sono un sito archeologico straordinario ma si è sentito il bisogno di trasformarlo in un mero contenitore: nasce così il museo dei fori imperiali, che ovviamente ha un appeal molto scarso perché chi legge il nome museo sa che ce ne sono altri mille più importanti a Roma da visitare. Roma ha caratteristiche molto appetibili per i viaggiatori contemporanei ma nessuno è in grado di promuoverle: ha decine di parchi storici, da villa Borghese a villa Sciarra, che nessuno va a visitare”.

 

Forse si dovrebbe riflettere su cos’è oggi il turismo? “Il turismo come fenomeno sociale non è studiato. I turisti di oggi sono diversi da quelli di dieci anni fa ma nessuno a Roma se ne è accorto. A Roma ci sono meno turisti rispetto a Parigi, ma lì si vedono di meno; hanno un impatto meno rovinoso e più proficuo sulla città, perché si muovono all’interno di sistemi. Se io invece per visitare i mercati di Traiano, il foro di Traiano, i fori imperiali, il foro romano e il Colosseo devo fare 3 biglietti diversi e entrare e uscire quattro volte dai vari cancelli creo ovviamente caos. Senza contare la totale incuria verso ciò che è raggiungibile da Roma. Le ville della Tuscia sono come i castelli della Loira”. Errori nella organizzazione?“Si promuovono operazioni mastodontiche ma si dimentica di applicare una cura più specifica al patrimonio. Penso al Ludus Magnus, scavo a due passi dal Colosseo oggi ridotto a latrina, ma che rappresenta l’unico esempio di palestra gladiatoria praticamente integra. Solo con l’estrema vicinanza al Colosseo e la storia del sito si potrebbero attrarre migliaia di persone e invece è visto come un peso”. E tutto dovrebbe partire dalla promozione. “Non c’è una strategia precisa di utilizzo dei siti storici per eventi o spettacoli – dice Cosmelli, e subito si difende dalla critica bacchettona: “Intendiamoci, non che io voglia trasformare i siti di Roma in tante location per le feste di grandi griffe, ma visto che tanto lo fanno lo stesso vorrei che almeno ci fossero regole precise, tariffe precise. E un modo per guadagnare ma anche per valorizzare e promuovere. Porta più gente a Roma un film come 007 o la sfilata di Fendi alla fontana di Trevi che non un anno di campagne pubblicitarie dell’Enit”, l’ente nazionale del turismo.

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