La donna che riuscì a fare le scarpe al comandante Lauro
 In occasione della morte di Luciana Viviani, riproponiamo il ritratto che ne fece Francesca Mambro nel 2002.
In occasione della morte di Luciana Viviani, riproponiamo il ritratto che ne fece Francesca Mambro nel 2002. 
Sciaquariello, il temuto capocamorra  del quartiere Mercato, ha dato l'ordine di accoglierla con un fascio di  rose rosse, e soprattutto di lasciarla parlare, di non disturbarla.  Lei, 29 anni, un metro e cinquanta per poco più di 40 chili, una  medaglia di bronzo della Resistenza e una croce di guerra al merito  nascoste a casa tra la biancheria, fa la sua parte.
 In occasione della morte di Luciana Viviani, riproponiamo il ritratto che ne fece Francesca Mambro nel 2002.
In occasione della morte di Luciana Viviani, riproponiamo il ritratto che ne fece Francesca Mambro nel 2002. 
Sciaquariello, il temuto capocamorra  del quartiere Mercato, ha dato l'ordine di accoglierla con un fascio di  rose rosse, e soprattutto di lasciarla parlare, di non disturbarla.  Lei, 29 anni, un metro e cinquanta per poco più di 40 chili, una  medaglia di bronzo della Resistenza e una croce di guerra al merito  nascoste a casa tra la biancheria, fa la sua parte. In piedi sui tavoli  delle taverne, sui muretti dei vicoli, sulle sedie davanti agli androni,  sporgendosi dai balconi con i panni stesi sotto come una bandiera,  parla, arringa, grida. 
Ma la monarchia prende ugualmente l'85 per cento dei voti.  Essere figlia del grande teatrante Raffaele Viviani, che per mezzo  secolo ha raccontato la gente semplice, le ha fruttato un lasciapassare  per i vicoli, ma niente di più. Luciana Viviani, giovane comunista di  molte utopie e moltissime energie, non si capacita del perché dopo il  disastro della guerra i poveri abbiano ancora il mito di quell'uomo di  poco conto che è re Umberto, e le donne del popolo, stremate da tutto,  private di tutto, patiscano per le sorti dei principini in esilio. 
Ma il rispetto per suo padre, e ora anche per lei, le garantirà  una possibilità di rivincita. Già nel '47 le cose vanno meglio: viene  eletta consigliere comunale. Nel '48, nel primo Parlamento della  Repubblica ci sono solo quattro donne, e una è lei. Sarà riconfermata  nel '53, nel '58, e nel '63. L'elezione del 1963 è il suo capolavoro. 
La ragazza ha 46 anni e non si è affatto placata. Sa  parlare alla gente. È uno degli “usignoli” del partito, ossia uno di  quei deputati particolarmente efficaci nei comizi che vengono chiamati  nelle situazioni più difficili. Il Pci può anche avere mille difetti, ma  sa ragionare di politica. Sa che se vuole prendere Napoli deve  conquistare a ogni costo il quartiere di Forcella, ossia il collegio  Napoli 4. Ma Napoli 4 è il feudo del potente, ricco e monarchico  armatore Achille Lauro, che è stato sindaco con 300 mila preferenze,  all'epoca praticamente l'intera città. I racconti popolari dicono che  Lauro ottenga i voti regalando una scarpa destra prima del voto, e  consegnando la sinistra solo a elezione avvenuta, oppure elargendo  pacchi alimentari. Forse, più semplicemente, i napoletani sono da secoli  rassegnati ad avere un re, e si considerano fortunati quando gliene  capita uno senza troppi grilli per la testa. Comunque sia, il Pci ha  deciso. E visto che i discorsi sul potere alle classi umili non superano  il muro dello scetticismo napoletano, occorre la mediazione della  camorra, quella di vecchio stampo, quella che si è strutturata negli  anni come resistenza popolare ai dominatori stranieri, quella che non  spaccia ancora l'eroina ma è cinghia di trasmissione tra i semplici e il  potere. Occorre scendere a patti, ma nessuno dei dirigenti comunisti ha  i titoli o il carisma per farlo. Nessuno tranne Luciana. 
Per sensibilità umana e per talento politico Luciana ha  già seguito mille casi di donne sventurate. Ora, in una lettera  accorata, Concetta Muccardo le racconta di aver “campato la famiglia”  vendendo sigarette di contrabbando per i vicoli, di essersi “buscata”  una multa che non poteva pagare e che è stata tramutata in due anni di  carcere. Finire a Pozzuoli (a Poggioreale non c'è la sezione femminile)  voleva dire perdere la piccola attività illegale con cui sfamava i figli  e il marito disoccupato. Quando i finanzieri vanno a prelevarla l'hanno  trovata incinta. Ha scoperto che per legge non poteva essere arrestata  in quelle condizioni, ha pensato bene di fare figli in continuazione. Ma  arrivata a diciannove il suo corpo si è fermato. I finanzieri un paio  di volte hanno fatto finta di non trovarla in casa, ma alla fine l'hanno  portata a Pozzuoli. La donna chiede ora aiuto a Luciana, a quella  piccola signora importante che ha visto spesso in giro per il quartiere.  La Viviani capisce che c'è solo una strada: la grazia. Prepara la  richiesta, la fa sottoscrivere da un gruppo di colleghi, organizza la  campagna stampa. La trafila burocratica è percorsa in tempi  straordinariamente rapidi. Giovanni Gronchi firma il provvedimento. Il  22 gennaio del 1959 Concetta Muccardo varca in senso inverso lo  sgraziato portone di ferro ricoperto da cento strati di vernice del  carcere di Pozzuoli. Quattro anni dopo Sofia Loren, Marcello Mastroianni  e Vittorio De Sica racconteranno la storia in uno degli episodi di  “Ieri, oggi e domani”. Assieme al film verranno le elezioni. Stavolta il  comandante Lauro non ce la farà. 
Luciana Viviani è nata il 2 settembre del 1917, terza  di quattro figli, in vico Cisterna dell'Olio, nel cuore della vecchia  Napoli. Suo padre ha 29 anni, sua madre, Maria Di Majo 23. Lui è sempre  in tournée, la moglie lo segue spesso, e i bambini vengono messi in un  buon collegio. L'infanzia e l'adolescenza della figlia di un genio sono  tutto sommato prevedibili: “Le sue apparizioni in famiglia erano fugaci.  Le feste di Natale, che faceva coincidere con le recite della compagnia  in un teatro napoletano, e il breve intervallo estivo tra una tournée e  un'altra, periodo questo, che non destinava al riposo ma  all'allestimento della nuova stagione teatrale”. “Non avevamo il tempo  per accorgerci dell'assenza del padre perché l'artista riempiva tutti  gli spazi necessari alla nostra crescita. Non vivevamo con lui, ma ci  nutrivamo di lui. Siamo entrati nel mondo in compagnia di un mito.  Nessuno dei figli ha seguito la sua strada perché lui non voleva:  ‘Figlio mio, fa' n'ata cosa, l'arta mia nun t'a 'mpara', no pecche' e'  difficultosa, ma p'o tuosseco che da'. La mia scelta di vita è  fortemente debitrice dell'universo artistico di Viviani. I diseredati,  gli oppressi, le vittime della miseria e dell'ingiustizia, la fatica del  vivere dei personaggi che animano le sue commedie e le sue poesie me li  sono trovati accanto in carne e ossa nella mia vicenda politica perché  lì batteva il mio cuore”. Luciana si laurea in Lingue e letterature  straniere all'Orientale di Napoli, inizia lentamente ma con decisione a  diventare comunista. Si innamora di un bel compagno di cellula, Riccardo  Longone, e scopre con lui tutto quello che di interessante c'è da  scoprire. Scopre anche che deve sposarsi in fretta perché aspetta un  bambino. 
L'8 settembre la porta a Roma, nel gruppo clandestino  di Ponte Sisto. Dura due anni la Resistenza, senza che lei possa avere  notizia del figlio, e senza che i Viviani possano avere notizie di lei.  Nel 1944 è tra le fondatrici dell'Unione donne italiane, nel '45 è a  Milano per costituire le Commissioni Femminili del Pci, Nel 1948 è nel  primo Parlamento della Repubblica. Nel 1950, il 22 marzo, dopo una lunga  malattia, recitando con un filo di voce vecchi monologhi, nel letto di  casa muore suo padre. Lo stesso giorno di 51 anni dopo nasce una  bambina, Arianna, a cui Luciana per motivi un po' segreti, come sono  spesso inconoscibili i motivi delle persone che hanno visto molto, si  lega fortemente. Nessun “riflusso nel privato” dopo la morte del padre.  Deve andare alla Scuola Centrale delle Frattocchie, dove il partito  forma i quadri dirigenti. Come nel film di Stanlio e Ollio sulla Legione  Straniera, le tocca di spostare sassi. “Fui costretta, a solo scopo  pedagogico, a trasportare a spalla un enorme mucchio di massi da un  angolo all'altro. Gli allievi del corso precedente avevano fatto quella  stessa fatica, ma nella direzione inversa, e quelli del successivo  l'avrebbero fatta riportando quelle stesse pietre al punto in cui le  avevamo spostate noi. Era il nostro esercizio di disciplina”. 
La sua storia d'amore torna di attualità. Il marito,  inviato dall'Unità a seguire dal fronte la guerra di Corea, unico  italiano in zona di operazioni, non trova altro modo per far filtrare le  corrispondenze che travestirle da lettere d'amore alla diletta  compagna. L'epistolario bellico- sentimentale finisce integralmente su  una apposita rubrica che ha uno strepitoso successo. Nel '56 Longone  lascia il Pci criticando l'invasione dell'Ungheria. Lei non lo segue, ma  il matrimonio non ne risente molto. Nel 1968 il turnover parlamentare  gestito dal partito la riconsegna a tempo pieno alla emancipazione  femminile, ai collettivi, ai gruppi di autocoscienza e ai seminari dai  titoli wertmulleriani: “Dalle donne in politica alla politica delle  donne: appartenenza politica, appartenenza di genere. Dalla resistenza  al neofemminismo”. 
Il prossimo 2 settembre Luciana compirà ottantacinque anni.  Gode di discreta salute, è cinefila e cinofila, ma dopo la morte  dell'ultimo cane tiene per casa solo una gatta, Michelina. Con il  figlio, d'estate, divide una casa a Capri. Fino a poco tempo fa faceva  il giro dei faraglioni a nuoto ogni giorno. Oggi copre distanze minori,  ma non resta ferma sulla spiaggia. Il Natale scorso voleva andare alla  messa di mezzanotte a San Pietro, ma dopo aver fatto mezz'ora di fila al  gelo ha scoperto che bisognava prenotarsi e che tutte le prenotazioni  erano in mano ai giapponesi. Usa il computer, l'automobile e grandi  collane di sassi levigati dal mare. Non ha il cellulare. Ha scritto  “Rosso antico: come lottare per il comunismo senza perdere il senso  dell'umorismo”, un libro sulle donne nella rivoluzione napoletana, e uno  sull'Udi come laboratorio di politica delle donne. Per eclettismo non  poteva mancare di affrontare i temi religiosi, rileggendo la Madonna in  chiave politico-napoletana. In questo, come in alcune questioni private  degli ultimi venti anni, si è fatta guidare da un'altra femminista  storica, di un paio di generazioni successive alla sua, Rosetta Stella.  Vivono insieme, alquanto serene, in un grande appartamento di Piazza  Cavour a Roma, con le finestre su Castel Sant'Angelo. Nelle foto in  bianco e nero alle pareti, la si vede scuotere il pugno durante chissà  quale comizio improvvisato per i vicoli di Napoli, la si ritrova  compunta accanto a Terracini, Nenni, Pertini, Togliatti, De Gasperi,  Krusciov, Mao, Chou En Lai. O a Digino Giordani, un democristiano, a  quanto pare dalle molte qualità, che lei è felice di aver frequentato.  L'ultima stanza in fondo al corridoio ospita la cucina. Lì, dagli anni  '50, lavora indefessa una macchina a gas grande come due lavatrici,  ancora perfettamente smaltata di bianco, la Bockhacker, che ha come logo  un omino che brandisce un'ascia. “E' tedesca, è perfetta. Molti me la  chiedono, ma io non ho nessuna intenzione di cambiarla”.
di Francesca Mambro
 
                             
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