Giovanni Agnelli senior
Ho conosciuto, intimamente o superficialmente, numerose personalità industriali finanziarie politiche artistiche. Le mie aziende ebbero tale importanza che dettero luogo a molti interessanti incontri. Conosco a fondo il senatore Agnelli, col quale parecchi anni addietro ho concluso affari per centinaia di milioni.
Dal Foglio del 17 novembre 2002
Ho conosciuto, intimamente o superficialmente, numerose personalità industriali finanziarie politiche artistiche. Le mie aziende ebbero tale importanza che dettero luogo a molti interessanti incontri. Conosco a fondo il senatore Agnelli, col quale parecchi anni addietro ho concluso affari per centinaia di milioni. Alto, solido, ben piantato sulle gambe, la testa diritta, egli scaccia di tanto in tanto i pensieri dal capo, spazzolando i capelli all'indietro con la mano. È estremamente forte nelle discussioni, specialmente quando dichiara che non ha capito, perché ha capito benissimo, ma vuole semplificare. Ogni qualvolta gli viene fatta una proposta complessa e macchinosa, dice di non capire, non già perché il meccanismo del progetto gli sia oscuro, ma perché vuole denudarlo e vederne il nocciolo. Ha una paura maledetta dei fronzoli, dell'accademia, delle orazioni forbite. Basta vederlo, nel suo ufficio alla Fiat, seduto dietro la scrivania.
Ha un tavolo da lavoro, quasi sempre privo di carte, lucido e nudo; si potrebbe credere che non ha niente da fare. Le carte non rimangono sul tavolo perché le sbriga subito. Giungo a pensare (egli me lo perdoni!) che si accollerebbe una perdita (piccola), pur di sbrigare una pratica noiosa, eliminare un mucchio di carte e non parlarne più. Agnelli è un forte, nel senso migliore della parola. Talora ruvido nei modi, quando ha preso una decisione s'irrigidisce e diventa aspro, anche per non doverla mutare. La sua concezione dell'industria e degli affari è rettilinea. Imparò dall'esperienza che le incursioni nelle industrie collaterali sono rischiosissime. Lavoratore indefesso, ogni giorno dalle otto del mattino fino alla sera, si prodiga per la sua azienda, che egli impersona. Io, che ne sono stato per molti anni vicepresidente, posso tanto più sicuramente affermare che la Fiat ha ricevuto e riceve da lui tutta la sua impronta.
Arriva talvolta in fabbrica alle otto di pessimo umore. Con pochi comandi o rimbrotti, secchi e recisi, chiarisce subito quel che lo ha fatto ammattire, perché una delle sue qualità sta appunto nel voler definire immediatamente le cose. Se un dente fa male, meglio cavarselo subito. Veramente credo che i suoi denti siano ancora tutti sani, e che ne abbia strappati molti agli altri. Talvolta qualcuno diceva: “Adesso vado io a dire il fatto suo ad Agnelli!”. E io ridevo, dentro me, perché sapevo in anticipo che Agnelli lo avrebbe attaccato appena egli avesse parlato, e l'altro se ne sarebbe andato senza avergli detto un bel nulla, oppure gli avrebbe esposte le cose in modo assai differente dalle precedenti intenzioni. È Agnelli interessato? Ama cioè molto il guadagno? Certamente sì; tuttavia lo attrae anche molto il valore morale del guadagno, l'arte di preparare e consolidare i profitti.
È veramente un grande industriale, dalle idee chiare e sobrie, nato per iniziare una impresa e portare quella in alto, fino ai fastigi. Il suo temperamento aborre, o comunque è schivo, dal fucinare intese con gli altri produttori, dal prenderli sotto il proprio dominio. Trasportato nell'America del Nord non sarebbe stato mai, credo, il Morgan o il Rockefeller dei trust; la sua visione si avvicina maggiormente a quella di Ford. Amo la caratteristica sua sincerità, spoglia di fronzoli, nell'ammettere di aver torto. Se dice “sono una bestia”, fa piacere a udirlo, perché più ruvido e schietto di così non si può essere. Anche in quei momenti, tuttavia, è bestia solo a parole, e mi fa ricordare un aneddoto.
Re Edoardo VII aveva un giorno invitato a pranzo il compositore Tosti (che mi narrò la storiella); quando Tosti si congedò, il re lo accompagnò in anticamera e voleva a tutti i costi aiutarlo a indossare il pastrano. Alle ritrosie del Tosti, un po' impacciato dal gesto inatteso, il re, battendogli bonariamente la mano sulle spalle, disse: “Non preoccupatevi; nessuno mi prenderà mai per un servitore”. A proposito di aneddoti, si potrebbero raccontare certe sue risposte pepate, saporite e coraggiose. Una riguarda un ministro del periodo bellico, il quale, avendo mancato a una promessa formale, si sentì dire bruscamente da Agnelli: “Se V. E. fosse un mercante di buoi, non farebbe più un affare, perché anche i negozianti di bestiame mantengono la parola”. Al che il ministro, stupefatto, replicò: “Lei non ricorda a chi parla! Lei non esce da questa camera!”. Passarono quindici minuti di silenzio glaciale, durante i quali nessuno sapeva che pesci pigliare, né il ministro che fingeva di esaminare delle carte, né Agnelli che aspettava l'arresto. Gl'indugi furono troncati dall'Agnelli, che tirò fuori dal panciotto l'orologio, l'osservò e disse: “Senta, Eccellenza, sono le otto; il treno per Torino parte alle otto e mezzo, e io ho molto da fare colà. Mi mandi a Torino i carabinieri”.
Ancora lo vedo, dopo una lunga seduta nella quale Camillo Castiglioni, oratore forbito ed eloquente, si era scagionato di alcune accuse, e aveva concluso il suo dire con la patetica invocazione “e adesso mi dica se io ho o no tutta la sua fiducia”; ancora lo vedo, Agnelli, riflettere un istante, darsi una buona spazzolata ai capelli con la mano e rispondere: “Lei ha tutta la fiducia che merita”.
di Riccardo Gualino (“Frammenti di vita”, Mondadori)
In breve
Riccardo Gualino. Nacque a Biella il 25 marzo 1879. Finito il liceo, si impiegò in una ditta di importazione di legname. A venticinque anni era titolare di un'impresa per il commercio del legname e del cemento che produceva utili per un milione all'anno (1904). Avviò lo sfruttamento di immense foreste nei Carpazi e nella Volinia. Iniziò, sul modello degli Astor a New York, lo sfruttamento di grandi aree edificabili a Pietroburgo. Fu fermato dalla Guerra. Fondò la Snia Viscosa, fu grande mecenate, fu travolto dal crollo del banchiere parigino Albert Oustric. Fu per diciassette mesi al confino. Si riprese, fondò la Rumianca e la Lux. È morto il 7 giugno 1964.


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