Augusto Reina (elaborazione grafica Il Foglio)

Il signor Amaretto

Maurizio Crippa

Da Saronno al mondo, storia di Augusto Reina. Tra antiche radici lombarde e innovazione d’impresa

Qualche giorno fa Campari spa, un colosso italiano nel settore “spirit”, ha deciso di spostare la propria sede legale in Olanda, per meglio gestire la sua internazionalizzazione ormai compiuta. il cervello del gruppo resterà invece lombardissimo, a Sesto San Giovanni dove Campari è nata a metà Ottocento e dove, nella ex fabbrica, c’è oggi il suo bel museo. La stessa cosa, rimanere nel suo habitat naturale, farà probabilmente un altro player globale degli “spirit”, ma con un nome che più agganciato al suo territorio non si potrebbe, l’Illva Saronno Holding (dove l’acronimo sta per Industria Lombarda Liquori Vini e Affini) che produce il liquore (infuso) famoso nel mondo, l’Amaretto di Saronno. Che da tempo è diventato per ragioni commerciali “Disaronno”. Ma il futuro di un gruppo che oggi fattura circa 350 milioni, ha 600 dipendenti e controlla 30 società in Italia e all’estero non lo deciderà più Augusto Reina, il patron e amministratore delegato che l’ha fatta crescere e trasformata, col talento dei capitani d’industria, in una vita di lavoro. Augusto Reina era uno di quei tipici imprenditori ricchi di concretezza e ardimenti che hanno fatto la storia dell’industria italiana. E’ morto ieri, a 80 anni, e il futuro dell’azienda lo decideranno gli eredi e il management ben preparato. 

 

  

Ma l’imprinting di una famiglia di antica tradizione imprenditoriale, di radicamento addirittura secolare sul territorio sono una certificazione del Dna. E la storia di Augusto Reina e del suo “Disaronno Originale - since 1525”, come sta scritto oggi sulla bottiglia per meglio brandizzare sui mercati internazionali il liquore a base di erbe e mandorle amare, ciliegie e prugne – sono uno degli esempi della migliore imprenditoria lombarda. Ma anche Saronno, il vertice basso del triangolo virtuoso che la unisce a Varese e Como, vuole la sua parte. Tra storia e un una spruzzata di leggenda, come ogni buon cocktail.

 

La storia riporta addirittura ai primi decenni dei Cinquecento, quando nel 1525 Bernardino Luini, che era stato allievo di Leonardo e uno dei maggiori pittori leonardeschi lombardi, fu chiamato ad affrescare le storie della vita di Maria nel grande santuario della Beata Vergine dei Miracoli appena costruito. Dopo la sua morte, nel 1532, fra gli artisti chiamati a concludere l’opera ci fu anche Gaudenzio Ferrari, un altro big, così che oggi il santuario è una degli scrigni d’arte più belli da vedere in Lombardia. Ma prima di passare a miglior vita, Bernardino lasciò la sua firma anche sulla futura fortuna di quel liquore profumato di mandorle che in quella zona di campi e boschi da tempo immemorabile si produceva. Narra la storia che, alloggiato in una locanda, avesse coltivato un debole per la bella locandiera, tanto da ritrarla in veste di Madonna nella Adorazione dei Magi. Lei, in cambio, gli fece scoprire il liquore locale, e il Maestro ne diffuse la fama. Fin qui la tradizione, ma è sicuro che l’amaretto fosse un infuso tipico del luogo, del resto ancora oggi se ne può trovare di produzione artigianale. Di certo c’è che un antenato di Augusto Reina, Domenico, a metà del Seicento aprì nel centro del paese la Domenico Reina Coloniali, codificando una formula di produzione. L’Illva Saronno nacque invece come industria nel primissimo dopoguerra, nel 1947. Augusto aveva sette anni. Talento espansivo, appassionato di tutto e di più, dalla musica classica allo sport, di cui fu mecenate, entrò presto in azienda. Come presto, negli anni ’60, grazie anche ai Caroselli con Nando Gazzolo, l’Amaretto trovò il successo nazionale e iniziò la scommessa dell’esportazione. All’inizio degli anni ’80, notorio decennio “da bere”, l’intuizione da imprenditore di razza di Reina fu quella di riposizionare l’immagine del suo liquore di punta su un consumo più ampio e moderno, facendone anche un ingrediente da cocktail di successo, e di aggredire i mercati e consolidarsi a livello internazionale. Poi venne l’acquisizione oculata di altre aziende e marchi, dal Rabarbaro Zucca al Marsala Florio e ai vini siciliani Duca di Salaparuta. E ancor più la sfida all’internazionalizzazione. Come ad esempio l'acquisizione della irlandese Walsh Whiskey Distillery, in anni in cui era il resto del mondo a fare shopping in Italia, o la partnership lungimirante con Yantai Changyu Pioneer Wine in uno dei mercati per vino e “spirit” emergenti e più promettenti. Per non parlare della diversificazione di una holding in altri settori. Sempre con i piedi ben piantati sul territorio, e il naso a fiutare il vento.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"