Botte a San Siro
Politicamente parlando, si potrebbe chiamarlo uno scontro tra opposte tifoserie.
Rinviata a fine mese la decisione del Pd se fare o no le proprie stesse primarie, rinviata sine die la scelta del centrodestra di un proprio candidato sindaco, rinviata a fine novembre (almeno: quando gli advisor avranno finito il loro lavoro) ogni scelta strategia sul dopo Expo, a Milano in questi giorni sembrava non ci fosse nulla su cui litigare. Ci ha pensato il Cavaliere, ovviamente. Ma non per tornare in campo sulla politica, bensì per dare l’addio al futuribile campo di gioco del suo Milan, lo stadio del Portello, di cui solo un paio di mesi fa aveva dato per certa la costruzione, per abbordabile la spesa (300 milioni), per decisa la data del debutto. L’annuncio del gran rifiuto – motivazioni ufficiali e ufficiose: costi enormi e problemi tecnici – è arrivato nei giorni caldi del derby, e in casa Inter ha fatto l’effetto peggio che se avesse segnato Balotelli. Decisamente irritati, poiché in primavera Milan e Inter avevano raggiunto un accordo – se non scritto, un gentlemen agreement – sul fatto che il Milan si sarebbe trasferito nella sua nuova casa e l’Inter avrebbe avuto campo libero per proporsi al comune di Milano come unico affittuario, a lunghissimo termine (70 anni) in cambio di tariffe concordate e dell’impegno a una piena, grande ristrutturazione del Meazza. Così gli uomini di Thohir avevano presentato a Palazzo Marino il loro piano, 120 milioni di investimento, ottenendo assensi e strette di mano. Sembrava fatta, e per due club intenzionati a rilanciarsi a livello internazionale non solo per virtù pedatorie, ma (quasi soprattutto) per modello di business e redditività, la questione dello stadio è cruciale. Il dietrofront del club della famiglia Berlusconi (Mr Bee è sempre in arrivo), riporta le cose a zero, cioè a una coabitazione da affittuari del comune che costa 9 milioni ai club, con un contratto fino al 2030, in un Meazza che così com’è è in fondo alla classifica degli impianti europei. Zona Retrocessione, scarso business. Il patto di San Siro è naufragato peggio di quello del Nazareno e, se all’Inter sono incazzati, al Milan tra le vittime del naufragio si conta pure Barbara Berlusconi, grande sostenitrice del Portello, che ha fatto un’altra volta la figura della amatissima figlia che però non decide nulla. Altra vittima (parte civile) è la Fondazione Fiera, che dopo tormentato iter aveva deciso di accogliere il progetto dello stadio (il terreno è suo) e passare al rapido incasso. Ora chiede 5 milioni di penale, che bastano solo a coprire la stizza.
Il succo propriamente politico della disfida dello stadio è però un altro. Ieri, sereno come un giudice di pace prossimo alla pensione, Giuliano Pisapia, interpellato sulla vicenda, ha edittato: “Adesso è fondamentale unire le forze di tutti i soggetti coinvolti, a partire da comune, Inter e Milan, per valorizzare ulteriormente San Siro, anche e soprattutto per il futuro di uno dei più belli stadi del mondo che è un fiore all’occhiello della nostra città”. Frase che però nasconde una realtà. La mossa di Berlusconi ha fatto riesplodere la contraddizione della giunta che si era, di fatto, rassegnata al nuovo stadio e all’accordo con l’Inter, ma che per un motivi anche molto benecomunistici ha sempre preferito lo stadio unico in mano pubblica (l’ex vicesindaco e assessore all’urbanistica, Ada Lucia De Cesaris, poi dimessasi, è sempre stata di questo parere). Anche se l’assessore allo Sport, Chiara Bisconti, pur ribadendo che “c’è una convenzione che blinda San Siro fino al 2030”, non si dice contraria a un nuovo stadio privato, “un’opportunità che non andrebbe persa secondo me”. Palla a Berlusconi, as usual.
La Chiesa di Vetro di Baranzate è una delle molte, belle chiese per le nuove periferie volute dal cardinal Montini prima di divenire Paolo VI. Firmata (1958) da due grandi architetti, Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti con materiali allora inusuali come il cemento armato, il ferro e le pareti in vetro è da poco stata restaurata, recuperando la sua stupefacente luminosità. E’ un pezzo di architettura sacra unico nella metropoli, e riapre la memoria – in tempi di “chiesa in uscita nelle periferie” – su quando le periferie italiane si formavano davvero, e diventavano, per la chiesa non solo ambrosiana, terre letteralmente di “nuova evangelizzazione”. Montini lo sapeva, e non aveva paura della modernità. Nemmeno nell’arte. Domenica 20, ore 15, Giulio Barazzetta, docente di Progettazione architettonica, e Lorenzo Margiotta, ricercatore, saranno lì a raccontare a chi vorrà esserci la storia della chiesa e del suo restauro. E’ il primo di quattro incontri “4 professori per 4 beni” organizzati dall’Associazione Testori, con un obiettivo di alta formazione dedicata alla valorizzazione di alcuni gioielli artistici del nord Milano. Città metropolitana, si dice.
Il Politecnico di Milano è al 187esimo posto nell’annuale classifica di QS World University Rankings, che recensisce le migliori università del mondo, entrando così nella lista dei primi 200 atenei. E’ l’unico italiano.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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