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Preghiera
Patrizia Valduga, t'amo!
Detesto la poesia contemporanea, e pure le idee politiche di Valduga. Ma le sue rime mi rendono cieco a tutto, con quelle può dire ciò che vuole
Fuggo i poeti, li detesto, li denigro, quasi li insulto, fuggo la poesia, di sicuro la poesia contemporanea, poi esce un nuovo libro di Patrizia Valduga (“Lacrimae rerum”, Einaudi) e non lo lascio fino a quando non l’ho finito. “L’amore a settant’anni non è cosa… / che accada mai… se non miracolosa…”. L’amore sembra di capire che nella vita dell’autrice latiti, la poesia invece anche a settant’anni arriva: “Poesia, è ora: prendimi per mano, / tu, gioia e gioventù di un cuore umano!”.
Alla Valduga io perdono tutto, perfino le idee politiche: “Il cristiano Occidente / è criminale, vile e supponente”. Il “cristiano Occidente”? Ma quando? Nel diciassettesimo secolo? Come faccio a lasciar correre affermazioni simili? Di solito sono intransigente: la amo così tanto? La amo, certo, ma non è l’amore a rendermi cieco: è la rima. Con quella rima può dire ciò che vuole. Composte in endecasillabi, le idee sbagliate non diventano giuste ma suonano meglio. E comunque il bisogno di ordine non si ritrova soltanto nella metrica. Descrivendo l’uomo dei suoi sogni, la poetessa si rivela reazionaria: “E vorrei che portasse la cravatta”. Che il miracolo, allora, si compia.