preghiera
Stellati ma stereotipati. I menù dei nuovi ristoranti Michelin fanno sbadigliare
I cuochi neostellati si definiscono sostenibili, io invece li proclamo prevedibili
Stellati ma stereotipati. Leggo i menù dei ristoranti neostellati Michelin e sbadiglio. Perché dettagli a parte mi sembra di avere davanti un menù unico. Ogni cuoco si percepisce diverso ma hanno tutti gli stessi vezzi e vizi, tutti si fanno chiamare Chef, tutti sognano di imporre l’oppressione del menù degustazione, e abbondano gli imitatori lessicali di Bottura (“Il gambero viola incontra l’insalata russa”, “Calamaro in gita sulle Alpi”...), e gira e rigira gli ingredienti sono sempre quelli. Tartufo, tartufo, tartufo. Cervo, cervo, cervo (mai un daino!). Animella, animella, animella (che mi fa pure piacere, amo le frattaglie, però ne esistono molte altre e vorrei sapere quelle chi le mangia, il gatto?). La cucina di mare è, come sempre, lo stereotipo dello stereotipo. Tonno, tonno, tonno. Dentice, dentice, dentice. Ricciola, ricciola, ricciola. Per finire nel piatto stellato il pesce dev’essere divo, dev’essere famoso. Mentre io non ho ancora mangiato la murena, mostro marino dimenticato, pesce delle mie brame non perché lo immagini superbuono ma perché ne scrive Orazio e una volta nella vita voglio fare l’antico romano. Mi rimarrà la voglia: i cuochi neostellati si definiscono sostenibili, io invece li proclamo prevedibili.