Ansa
elezioni e governabilità
Quando la sinistra voleva una legge elettorale con il premio di maggioranza
Nel 2013 i senatori del Pd hanno presentato un ddl che prevedeva un premio di maggioranza: guardando i numeri, il meccanismo è identico a quello che propone oggi Fratelli d'Italia per superare lo stallo alle elezioni e garantire la governabilità
È il 2013 e la coalizione di centrosinistra guidata da Pierluigi Bersani è la favorita alle elezioni di febbraio. Ma le cose non vanno secondo i piani: la mancata alleanza con la forza centrista di Mario Monti non garantisce una maggioranza in Senato. Inoltre, la rimonta di Berlusconi unita con l’ascesa del M5s gettano il paese in una situazione di pareggio. Stallo totale. Serve un governo di larghe intese per sbrogliare la matassa. Qualche mese dopo, a maggio, alcuni senatori del Pd presentano un ddl sulla legge elettorale che nell’introduzione recita così: “I recenti risultati elettorali per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica hanno mostrato l’inidoneità della legge elettorale vigente ad assicurare, in un mutato quadro politico, un solido riferimento ai fini della governabilità del Paese”.
La discussione che si innescò allora è la stessa che ha dominato il dibattito politico degli ultimi giorni. Stavolta è stato il centrodestra, in particolare il responsabile organizzativo di FdI Giovanni Donzelli, a dar inizio alle danze: "Riteniamo sia necessario garantire la stabilità, se si votasse oggi non sarebbe garantita”. Insomma, la criticità rilevata 12 anni fa dalla sinistra è la stessa che oggi preoccupa Giorgia Meloni: con l'attuale legge elettorale non c'è la certezza di avere un vincitore il giorno dopo le elezioni.
A impedire nel 2013 la formazione di una maggioranza chiara fu l’allora sistema elettorale vigente, il Porcellum – poi bocciato dalla Corte Costituzionale –, non garantiva la formazione di una maggioranza stabile e omogenea tra Camera e Senato: il premio di maggioranza alla Camera era fissato su base nazionale, mentre quello del Senato, per Costituzione, su base regionale. Il disegno di legge dem – mai entrato in vigore – mirava a ristabilire un premio di maggioranza per tutte e due le camere ancorato al raggiungimento della soglia del 40 per cento del totale di voti attribuiti a gruppi di candidati, fino al raggiungimento del 55 per cento dei seggi. Un meccanismo che ricorda per filo e per segno quello che oggi vorrebbe introdurre la premier in vista delle elezioni del 2027 e che oggi il Partito democratico rigetta. Il punto nevralgico identificato da Palazzo Chigi, oltre al sistema proporzionale puro e le preferenze ai parlamentari, è il premio di maggioranza. Quello previsto dalla premier è lo stesso di quello previsto al tempo dal Pd: chi supera la soglia del 40 per cento dei voti, avrà il 55 per cento dei seggi. Nel caso della proposta di FdI, diventerebbe del 60 al raggiungimento della soglia del 45 per cento.
Secondo il senatore del Pd Walter Verini, contattato dal Foglio, il problema non è il premio di maggioranza in sé, che infatti non disprezzerebbe – “dentro i confini della Corte costituzionale, l'idea che un piccolo premio di governabilità possa esserci non mi scandalizza” – ma un sistema che non danneggi la rappresentatività dell'opposizione. "Un meccanismo che consenta di avere, ad esempio, il 55 per cento e non il 51 a chi prende il 45 per cento, garantendo allo schieramento che prende il 42 per cento di avere il 42 per cento di parlamentari, o giù di lì, non il 20 per cento”.