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l'editoriale del direttore
Dal consenso all'ambiente fino al femminicidio. Perché i voti all'unanimità sono spie di demagogia
Un provvedimento approvato senza voti contrari di solito non è un segnale di responsabilità, ma di una deriva demagogica di una politica che, pur con buone intenzioni, tende minacciosamente ad accodarsi a un pensiero dominante
In politica, si sa, le certezze sono poche, le variabili sono infinite, le imprevedibilità sono all’ordine del giorno, le coerenze sono una barzelletta della storia, e per quanto ci si sforzi di trovare dei punti fermi, individuare una stella fissa è una missione spericolata, impossibile, forse persino inutile. La politica, al contrario di ciò che spesso si sostiene, non è affatto una scienza esatta. Ma c’è un terreno su cui la politica ogni tanto riesce invece a offrire coordinate precise, chirurgiche, e quel terreno è costituito da una parola la cui evocazione dovrebbe far tremare i polsi al Parlamento: unanimità. Non è sempre così, naturalmente: ci sono casi in cui l’unanimità è benemerita, saggia, figlia del buon senso, casi più unici che rari. Ma tendenzialmente la regola non scritta della politica è che quando vi è una norma, una legge, un provvedimento approvato senza voti contrari, di solito quella norma è la spia di una deriva demagogica di una politica che, pur con buone intenzioni, tende minacciosamente ad accodarsi a un pensiero dominante. L’ultimo caso, il più eclatante, è stato quello che si è manifestato pochi giorni fa, quando il Parlamento, sciaguratamente, ha votato all’unanimità un disegno di legge spericolato che, invertendo l’onere della prova – trasformando cioè ogni accusa in una sentenza fino alla condanna definitiva – prevedeva la configurazione del reato di violenza sessuale “senza consenso libero e attuale”.
Dopo il voto all’unanimità della Camera, il Senato, esponendo il centrodestra a una figura barbina, di chi cioè le leggi prima le approva e poi le studia, ha deciso di fermarsi, saggiamente. Ma i casi in cui l’unanimità ha prodotto scelleratezze vanno ben al di là di questo ddl: sono infiniti. All’interno di questa casistica si potrebbe far rientrare anche l’approvazione del reato di femminicidio, scelta contestata con ottimi argomenti, giorni fa, da settantasette giuriste – tra professoresse, ricercatrici, studiose penaliste – secondo le quali la normativa attuale già permette l’ergastolo e la nuova fattispecie sarebbe solo simbolica, inefficace come deterrente e rischiosa sul piano del populismo penale. Le leggi che mobilitano i parlamentari all’unanimità di solito hanno uno schema consolidato: si evoca un principio sacrosanto (basta stupri, basta violenze, basta donne uccise) e lo si impacchetta all’interno di una legge che non è un compromesso tra le parti ma è una somma bipartisan di demagogie trasversali. Le scelleratezze dell’unanimità, dal punto di vista legislativo, le abbiamo viste poche settimane fa, e ricorderete quanta unanimità ha creato la norma sugli extraprofitti alle banche (unica contestazione: ne serviva di più). E le abbiamo viste nel recente passato anche ai tempi dell’approvazione della legge sulla carne sintetica, approvata nel 2023 quasi all’unanimità, nell’indifferenza assoluta rispetto alle conseguenze di quella legge, che vieta un’intera tecnologia senza basi scientifiche, blocca ricerca e innovazione, danneggia la competitività italiana e segue una cultura reazionaria che in passato ha già frenato gli ogm (anche all’epoca la politica, all’unanimità o quasi, si espresse a favore del divieto degli ogm, clap clap).
C’è stata unanimità, naturalmente, anche sulla scelta di introdurre un’altra festività nel calendario, la festa di San Francesco, trasformato all’unanimità dal Parlamento in una macchietta, in un simbolo – nientemeno – della tutela dell’ambiente e della sostenibilità. E sempre in nome della sostenibilità, tre anni fa il Parlamento, ovviamente all’unanimità, scelse di inserire in Costituzione, all’articolo 9, la tutela “dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, partendo da un concetto incontestabile (chi non vuole tutelare l’ambiente?) ma sconfinando nella demagogia attraverso l’introduzione di concetti vaghi destinati ad aprire interpretazioni arbitrarie (in natura non esiste una sola attività umana che potenzialmente non sia un piccolo o un grande pericolo per l’ambiente e affermare il principio che ogni iniziativa economica privata non debba arrecare alcun danno all’ambiente significa spalancare la porta a iniziative discrezionali e anti industriali della magistratura). La regola naturalmente non è assoluta, esistono anche dei casi in cui l’unanimità ha prodotto provvedimenti saggi (come le leggi in materia sanitaria, come l’oblio oncologico, o le occasioni in cui, nella scorsa legislatura, il Parlamento ha votato a favore dell’invio delle armi in Ucraina). Ma un suggerimento è d’obbligo: quando lo schermo elettronico dell’Aula mostra l’esito di un voto in Parlamento con molte luci per i favorevoli e pochi colori per i contrari, prima di esultare, di applaudire, di elogiare, chiedetevi se, al netto dei buoni princìpi e dei titoli inattaccabili, non vi siano leggi figlie di un combinato disposto di demagogia trasversale. La politica non è una scienza esatta, ma quando l’unanimità si impossessa della politica è difficile che il principio della responsabilità prevalga sulla logica dell’approssimazione, e a volte anche su quella della cialtroneria.