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pareri e timori

Cosa non torna del ddl sul consenso rimasto bloccato in Senato

Redazione

Dal rischio di inversione dell'onere della prova alle pene non adeguatamente diversificate. Tutti i dubbi di natura giuridica contenuti nella riforma stoppata ieri dalla maggioranza a Palazzo Madama

Avrebbero dovuto approvarlo ieri, nella giornata contro la violenza sulle donne, il ddl sul libero consenso. L'emendamento all'attuale articolo 609 bis del codice penale, firmato da due deputate di Pd e FdI, era passato alla Camera all'unanimità, complice l'appoggio della premier Meloni e della segretaria dem Schlein. Eppure, il testo si è arenato in Senato, in commissione Giustizia, dopo che alcuni membri di Fratelli d'Italia e Lega hanno espresso la necessità di un esame più approfondito nel merito del provvedimento. Non quadra il terzo comma – “l'unico che non abbiamo modificato, ha detto ieri al Foglio Michela Di Biase, deputata del Pd e una delle due relatrici – secondo cui “nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non minore eccedente i due terzi”. Alcuni esponenti della maggioranza si sono chiesti, per l'appunto, cosa si intenda per "minore gravità”. 

 

      

 

“Non so se vogliano incidere anche sul primo comma”, ha detto ieri la presidente della commissione Giustizia del Senato, Giulia Bongiorno. È infatti su questo punto – il vero cuore del provvedimento – che trapelano i dubbi più grandi. Nella commissione di Palazzo Madama Probabilmente “vogliono essere molto sicuri sul fatto che non ci sia la possibilità di rovesciare l'onere della prova, principio basilare del nostro diritto”, ha affermato Eugenia Roccella, ministro della Famiglia. All'inizio della norma, infatti, si punisce chiunque costringa taluno a compiere o subire atti sessuali "in assenza di consenso”, termine indicato come "libera manifestazione della volontà della persona", intatta per tutta la durata dell'atto. Come abbiamo scritto qui, il provvedimento potrebbe dunque scaricare sulle spalle della persona imputata il dovere di dimostrare la propria innocenza. Di fatto, l'onere della prova si trasferirebbe dall'accusante all'accusato, sbriciolando il principio della presunzione d'innocenza, tutelato dalla costituzione. 

Qualche problema c'è anche per quanto riguarda le pene. “Viene prevista la stessa pena sia nel caso di violenza sessuale, ossia la fattispecie base, che nel caso di utilizzo di violenza, minaccia o abuso. Non è stata prevista un'aggravante per questi casi”, dice al Foglio Tiziana Vitarelli, professoressa di diritto penale all'Università degli studi di Messina. Secondo la docente tutto il frastuono provocato attorno al provvedimento non sembra così giustificato: “Anche se questa norma passasse non ci sarebbe uno stravolgimento delle conseguenze giuridiche o chissà quali novità – prosegue la docente – La giurisprudenza ha già anticipato i tempi, e il legislatore non ha fatto che ratificarla”. 

L’inserimento del principio del consenso “è in linea con quanto fatto da altri paesi, come Spagna e Francia, e costituisce un passo necessario, visto lo scollamento tra la norma esistente, incentrata sulla costrizione violenta, e la giurisprudenza, che interpreta l’articolo 609 bis in termini consensualistici, cioè prevedendo che anche laddove non c’è violenza, ma manca il consenso, si integra l’ipotesi di violenza sessuale”, spiegava a questo giornale Ilaria Merenda, docente di Diritto penale all’Università Roma Tre. Ma qualcosa da migliorare ci sarebbe. Con la versione attuale del provvedimento resta infatti “indeterminata la nozione di atto sessuale, che oggi viene ricostruita praticamente a piacimento dalla giurisprudenza”, faceva notare la professoressa, con il rischio di far ricadere sotto l'etichetta di ‘violenza sessuale’ una serie di comportamenti tra loro largamente eterogenei: dai semplici abbracci fino ad atti sessuali ben più rilevanti. Senza contare poi che l'emendamento non si esprime sul tema dell’errore sul consenso. "Con l’inserimento del principio del consenso, il legislatore introduce nella fattispecie un criterio di natura oggettiva, che impone al giudice di verificare se l’altrui volontà sia stata espressa o meno in modo tale da poter essere chiaramente intesa dall’uomo. Ciò non toglie che, pur qualora manchi tale obiettiva riconoscibilità, l’uomo potrebbe comunque agire convinto che il partner abbia univocamente aderito al rapporto sessuale”, notava la giurista. Su questa ipotesi l'emendamento non si esprime, tanto meno riconosce attenuanti

Per approvare la norma la commissione Giustizia al Senato si prenderà più tempo. Per adesso, sul tavolo c'è una riforma che – come scriviamo qua – rischia di sistemare i problemi solo in superficie. Lasciando intatte invece crepe ben più profonde e su cui il Parlamento ha preferito non intervenire. Con l'altissima probabilità di lasciare tutto, ancora una volta, nelle mani dei tribunali

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